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La febbre del sabato sera

Circa un anno fa, un conoscente di vecchia data mi offrì un ingresso gratuito per una discoteca rinomata in cui egli si doveva recare e io accettai di unirmi a lui nel suo impegno serale poiché fatta eccezione per la droga, la religione, il sesso occasionale e buona parte della musica italiana, sono aperto a nuove esperienze. Mi recai presso la sua dimora e un cane piuttosto brutto mi accolse con timidi abbai. Dopo qualche minuto partimmo con la sua auto alla volta di Castiglione della Pescaia e già le melodie melense della sua autoradio composero le prime avvisaglie di ciò che sarebbe avvenuto in seguito. Entrammo nel locale e il padre del mio conoscente mi offrì dei buoni per le consumazioni che io lasciai nelle sue mani in quanto sono felicemente astemio. Ci accomodammo nel privé che era destinato a noi e ad altri loschi figuri di cui non mi era stata annunciata la presenza. Dopo un’ora giunsero un uomo di mezz’età, due ragazzi e quattro figlie dell’Est che come le cronache locali dimostrarono dopo qualche mese non erano di certo in Italia per studiare il Rinascimento, sebbene s’impegnassero a resuscitare gli istinti sopiti nei suini bipedi. Insomma, il privé si popolò con questi futuri conoscenti della buoncostume. La pista da ballo cominciò a riempirsi e anche le peripatetiche portarono i loro movimenti fuori tempo in quell’agorà di filosofi mancati. Io restai stravaccato su una poltrona e assistetti impassibile a quello spettacolo pietoso.
Il mio conoscente s’era dato alla macchia già da un po’ e dunque non potevo andarmene, a meno di non farmi sessanta chilometri a piedi, tuttavia per me era come se egli fosse presente in quanto ne maledivo a ritroso la genia, dal presente fino all’impero di Giustiniano e viceversa, più o meno. Mi annoiava tutta quella insicurezza stucchevole che provava a darsi una parvenza di svago. Il divertimento mi sembrava forzato, come un secondo lavoro con cui pagare l’affitto di un autoinganno. Oltre a tutto questo, il locale era pervaso da una selezione musicale di merda che veniva inframmezzata dalle frasi demenziali di un dj inetto. Tranne un paio di ragazzi, probabilmente avvezzi alla danza, gli altri presenti si dilettavano in un ballo tribale che pareva a metà tra le televendite di Giorgio Mastrota e le convulsioni di un epilettico.
Ovviamente non credo che occorra essere dei ballerini per recarsi in una discoteca a trascorrere una serata allegra e senza pretese, ma allo stesso tempo non riesco proprio a capire in quale pertugio si nasconda il divertimento di pagare per muoversi a cazzo di cane, manco fosse un pogo o un baccanale.
Insomma, fu proprio una grande rottura di coglioni che mi augurai di non ripetere senza un buon motivo e resi partecipe il mio conoscente delle impressioni che avevo raccolto nel locale di suo padre. Non so se le discoteche siano tutte così, altrimenti sarei portato a sospettare che vi sia più trasgressione ed euforia genuina in un reparto di geriatria. Ritengo che tali luoghi di aggregazione siano più che altro dei crocevia ove viandanti di ogni età, sesso e razza si ritrovano a mercanteggiare le loro solitudini per qualche malattia venerea, ma questa è soltanto una mia trascurabile impressione.

Francesco

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