Si misura con grandezze inesprimibili il silenzio che accompagna un satellite artificiale verso la deriva cosmica. Ad alte quote, circondati da paesaggi impervi e sconfinati, alcuni gruppi di uomini cercano contatti ultraterreni con loro stessi o con gli dèi che per intercessione umana amministrano tradizioni diverse a seconda delle zone geografiche di competenza. I dubbi paterni possono gravitare attorno alla sfericità di una donna gravida e in simili circostanze le domande sull’origine della vita riescono ad assumere dei contorni più terrestri. Le metonimie sostengono turni estenuanti per trasportare pezzi di conversazione e dovrebbero creare un loro sindacato per tutelarsi contro lo povertà di linguaggio. S’ipotecano le frasi ipotetiche e le eventuali allitterazioni per progettare poeticamente i giorni precari di un futuro personalizzato. Escavatrici millantatrici, ecco come spesso si configurano le citazioni latine di cui taluni si avvalgono per dare più profondità a certi discorsi; per l’occasione anch’io ne invoco una benché tale lingua morta per me sia anche sepolta oltreché sconosciuta: “Amor animi arbitrio sumitur, non ponitur”. I fondali marini si offrono al mio sguardo indiscreto attraverso il filtro d’una maschera subacquea e alcuni scritti altrettanto ermetici mi concedono ampie vedute sugli abissi del genere umano. Il mio posto è accanto al finestrino di un aereo per l’intera durata di un volo intercontinentale. Non cerco nulla di nobile né di elevato verso levante, ma ogni tanto preferisco le albe orientali ai crepuscoli dell’Occidente. Non mi attendo celebrazioni per il sessantesimo secondo dal concepimento di questa frase. Nel mio letto c’è abbastanza spazio per me e per le abduzioni dei miei arti.
Mi appoggio ai silenzi che si susseguono senza soluzione di continuità, tuttavia con la stessa…
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