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Mea culpa (shit, it happens)

Un dubbio crescente s’espande in me. Qualche giorno fa ho scansato una simpatia platonica senza una ragione apparentemente valida. Già subodoravo come sarebbe andata a finire quell’intesa precoce, ma adesso mi domando se la mia scelta l’abbia partorita l’istinto o se invece sia scaturita da un meccanismo di difesa. Odio ripetere gli stessi errori o commetterne di nuovi che non abbiano manco la creanza di portarmi qualche buon insegnamento in dote. Probabilmente ho sbagliato e difatti sento già i rumori lontani del treno che mi è passato accanto. Avrei dovuto pazientare invece di annoiarmi subito, ma io sono un figlio di puttana e mi butto sempre la zappa sui piedi come un contadino masochista. Forse mi sono abituato talmente tanto a non cercare nulla da non riuscire più a riconoscere un tesoro inestimabile. Non paragono le persone agli oggetti, ma talvolta le suggestioni iniziali sono le medesime anche se poi prendono corsi differenti. Avrei dovuto insistere su quel rapporto embrionale e poi se questo avesse preso una brutta piega allora me ne sarei potuto disfare in un secondo momento senza però commettere atti d’egoismo. Continuo ad avere la sensazione che questa volta ne valesse la pena, ma purtroppo o per fortuna non esistono le macchine del tempo e Michael J. Fox non ha più la mano ferma per mettersi alla guida di una DeLorean. Almeno ho potuto rendermi conto di non meritare ciò che non ho mai avuto e ne è la riprova l’uso del verbo avere in un contesto che nella sua autenticità oltrepassa qualsiasi senso del possesso. Dovrei rivolgermi a me stesso con un po’ di arroganza per bacchettare la mia stupidità e conto di farlo dopo il prossimo segno d’interpunzione. Carissimo Francesco, non sei abbastanza stupido da negare l’errore, ma lo sei a sufficienza da non trovare un modo per riparare: qualche volta in te la scemenza consolida un equilibrio perfetto. È proprio così. Comunque la consapevolezza dello sbaglio già mi fa sentire meglio, ma ogni atto d’intelligenza va oltre le mie competenze e dunque passo la pratica al caso senza aspettarmi nulla dalle sue coincidenze negligenti. Dopo anni di introspezione mi lascio ancora anticipare dalla fretta seppur su un terreno che conosco poco. La mia stoltezza merita un’illustrazione per enucleare dettagli del tutto estranei a quanto ho scritto finora. Alla fine v’è sempre una parola di cui sono prodigo: “Vaffanculo”.

Francesco

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