Ho imparato a palleggiare per mimesi. Nel corso dell’ultimo anno la mia tecnica ha mostrato lievi segni di miglioramento. Non ambisco a diventare un freestyler, non sono un giocatore e neanche tifo per una squadra, perciò l’unico legame che ho con il calcio riguarda il controllo della palla. Come ho già scritto in passato, io considero il palleggio calcistico alla stregua di un esercizio yoga e me ne avvalgo per affiancare una controparte fisica al mio equilibrio interiore.
Ogni tanto partecipo a qualche partita di calcio a cinque e spesso mi diverto, ma non sono un granché in campo e d’altronde un gioco di squadra non è proprio nelle mie corde. Il calcio lo seguo senza trasporto e mi fanno ridere tutti quei babbei che hanno bisogno di identificarsi nei colori di una società sportiva per sentirsi parte di qualcosa. Trovo che la violenza negli stadi sia catartica e l’approvo fintantoché non procuri morti né feriti gravi, ma allo stesso tempo la reputo comica poiché spinge le persone a compromettersi per degli atleti che percepiscono compensi faraonici. Anche la passione per il calcio aiuta i più deboli a sopportare la solitudine e difatti non è raro che si mischi con la politica. A me piacciono soltanto i gesti tecnici, le grandi giocate e le dimostrazioni atletiche, tuttavia quando l’Italia perde le partite ne sono contento perché i successi della nazionale di calcio esaltano la mediocrità e di conseguenza, per istinto di conservazione, auguro sempre le peggiori sconfitte agli azzurri. Probabilmente gli spettacoli più belli mi sono stati regalati da Roberto Baggio e Zinédine Zidane. Oggi oltre al solito Franck Ribéry, ammiro Javier Zanetti per la sua abnegazione, Arjen Robben per le sue capacità atletiche e tecniche, Giuseppe Mascara e Keisuke Honda per la fantasia, Mario Balotelli per la potenza ed Emanuel Pogatetz per ricordarmi sempre di comprare più carne rossa dal macellaio.
Certe volte mi trovo proprio buffo e mi derido senza cattiveria. Sono così preso da me stesso che dovrei denunciarmi per molestie. Qualche volta un calo dell’attenzione mi fa inciampare nella bottega di sculture introspettive che gestisco a tempo perso. Di solito le opinioni altrui non influenzano le mie scelte, però alcune offrono degli spunti interessanti e ce ne sono altre, piuttosto rare, la cui brillantezza può persino illuminarmi. Non sono un razzista, perciò cerco di ammettere anche i torti e le loro spose: le scuse. Al momento non ho nulla da farmi perdonare e neanch’io ho questioni aperte che possano essere chiuse con un atto di clemenza da parte mia. Se fossi cristiano potrei aspirare a un posto in purgatorio con vista sull’inferno. Se avessi un pargoletto non gli leggerei mai le favole dei fratelli Grimm, bensì mi affaccerei sulla sua culla con un’espressione sardonica per recitare qualche aforisma da “Sillogismi dell’amarezza” di Cioran.
Il primo mi suona come una verità concisa: “Nessuno può vegliare sulla propria solitudine se non sa rendersi odioso”.
Il secondo trova conferma nella mia esperienza personale: “Si scopre un sapore ai propri giorni soltanto quando ci si sottrae all’obbligo di avere un destino”.
Il terzo descrive una delle mie personalità passate: “Ancor più che una reazione di difesa, la timidezza è una tecnica, indefinitamente perfezionata dalla megalomania degli incompresi”.
Il quarto l’adoro per la sua forza espressiva: “La leucemia è il giardino in cui fiorisce Dio”.
Il quinto non mi stancherei mai di leggerlo: “A che pro disfarsi di Dio per ricadere in sé stessi? A che pro questa sostituzione di carogne?”.
Il sesto mi commuove: “In questo universo provvisorio, i nostri assiomi hanno soltanto un valore di cronaca”.
Il settimo lo condivido pienamente: “Niente inaridisce una mente quanto la ripugnanza a concepire idee oscure”.
L’ottavo per me è un inno alla gioia sotto mentite spoglie: “Mescolanza di anatomia e di estasi, apoteosi dell’insolubile, alimento ideale per la bulimia della delusione, l’Amore ci guida verso bassifondi di gloria…”.
Il nono si commenta da sé: “L’uomo secerne disastro”.
Il decimo lo sento mio, ma non in chiave pessimista: “Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza marciapiedi”.
Buona notte piccolo, dormi bene.
Circa un anno fa, un conoscente di vecchia data mi offrì un ingresso gratuito per una discoteca rinomata in cui egli si doveva recare e io accettai di unirmi a lui nel suo impegno serale poiché fatta eccezione per la droga, la religione, il sesso occasionale e buona parte della musica italiana, sono aperto a nuove esperienze. Mi recai presso la sua dimora e un cane piuttosto brutto mi accolse con timidi abbai. Dopo qualche minuto partimmo con la sua auto alla volta di Castiglione della Pescaia e già le melodie melense della sua autoradio composero le prime avvisaglie di ciò che sarebbe avvenuto in seguito. Entrammo nel locale e il padre del mio conoscente mi offrì dei buoni per le consumazioni che io lasciai nelle sue mani in quanto sono felicemente astemio. Ci accomodammo nel privé che era destinato a noi e ad altri loschi figuri di cui non mi era stata annunciata la presenza. Dopo un’ora giunsero un uomo di mezz’età, due ragazzi e quattro figlie dell’Est che come le cronache locali dimostrarono dopo qualche mese non erano di certo in Italia per studiare il Rinascimento, sebbene s’impegnassero a resuscitare gli istinti sopiti nei suini bipedi. Insomma, il privé si popolò con questi futuri conoscenti della buoncostume. La pista da ballo cominciò a riempirsi e anche le peripatetiche portarono i loro movimenti fuori tempo in quell’agorà di filosofi mancati. Io restai stravaccato su una poltrona e assistetti impassibile a quello spettacolo pietoso.
Il mio conoscente s’era dato alla macchia già da un po’ e dunque non potevo andarmene, a meno di non farmi sessanta chilometri a piedi, tuttavia per me era come se egli fosse presente in quanto ne maledivo a ritroso la genia, dal presente fino all’impero di Giustiniano e viceversa, più o meno. Mi annoiava tutta quella insicurezza stucchevole che provava a darsi una parvenza di svago. Il divertimento mi sembrava forzato, come un secondo lavoro con cui pagare l’affitto di un autoinganno. Oltre a tutto questo, il locale era pervaso da una selezione musicale di merda che veniva inframmezzata dalle frasi demenziali di un dj inetto. Tranne un paio di ragazzi, probabilmente avvezzi alla danza, gli altri presenti si dilettavano in un ballo tribale che pareva a metà tra le televendite di Giorgio Mastrota e le convulsioni di un epilettico.
Ovviamente non credo che occorra essere dei ballerini per recarsi in una discoteca a trascorrere una serata allegra e senza pretese, ma allo stesso tempo non riesco proprio a capire in quale pertugio si nasconda il divertimento di pagare per muoversi a cazzo di cane, manco fosse un pogo o un baccanale.
Insomma, fu proprio una grande rottura di coglioni che mi augurai di non ripetere senza un buon motivo e resi partecipe il mio conoscente delle impressioni che avevo raccolto nel locale di suo padre. Non so se le discoteche siano tutte così, altrimenti sarei portato a sospettare che vi sia più trasgressione ed euforia genuina in un reparto di geriatria. Ritengo che tali luoghi di aggregazione siano più che altro dei crocevia ove viandanti di ogni età, sesso e razza si ritrovano a mercanteggiare le loro solitudini per qualche malattia venerea, ma questa è soltanto una mia trascurabile impressione.
La seconda compilation dedicata all’allenamento pesistico l’ho realizzata all’insegna del death metal (con un pizzico di black metal) e ho scelto pezzi più o meno leggendari per creare un mix efficace ai fini del workout. Ovviamente questa raccolta non si presta a quelle orecchie che siano abituate alle canzoncine ribelli e falsamente impegnate, tanto care alla radiofonia italiana e alla mafia discografica. Dunque, il pezzo più alto di questa compilation per me è “Bite the Pain” dei Death in cui il songwriting e la voce dello scomparso Schuldiner riescono ancora a provocarmi un certo formicolio dietro la schiena (in realtà tutto “The Sound of Perseverance” mi fa questo effetto). Un altro pezzo celebre è quello degli At The Gates e, mutatis mutandis, anche “Absence of War” degli Impaled Nazarene è un cult. Ho chiuso la raccolta con la cover di “The Final Countdown” degli Europe a opera dei Norther che in veste death metal riesce nell’arduo e duplice compito di non imbarazzarmi e di galvanizzarmi. Qualche parola in più però la devo spendere sugli Arch Enemy e in particolare sulla voce femminile del gruppo.
Penso che a molti capiti di identificare per gioco e con un po’ di spensierata leggerezza il partner dei propri sogni in un personaggio più o meno noto e per quanto mi riguarda è Angela Gossow la mia donna ideale. Costei, bionda, giunonica e teutonica valchiria, ha una tecnica vocale che molti dei suoi colleghi maschi si sognano e il suo growl si sposa perfettamente con i virtuosismi dei fratelli Amott, inoltre dalle interviste traspare una persona ironica e con una voce naturale che adoro oltremodo. Lei nel ritornello di “Nemesis” mi manda in estasi; cazzo, una cosa assurda, esaltazione massima. Altre cantanti hanno provato a seguire le sue orme, ma per adesso non c’è nessuna che mi entusiasmi altrettanto. Quando ascolto gli Arch Enemy e penso alla figura che sprigiona la potenza di quelle grandiose linee vocali, io riesco a caricarmi. Un po’ di tempo fa, altrove, scrissi ironicamente: “Se dev’essere, allora sia almeno una come la Gossow, sennò non ne vale la pena”. Questa per me è la tanto amata kalokagathia. Comunque negli Arch Enemy adoro tutto: dalla parte ritmica agli assoli. Una band stellare per i miei gusti.
- Arch Enemy – The Day You Died
- Arch Enemy – Nemesis
- At The Gates – Blinded By Fear
- Death – Bite the Pain
- Eluveitie – Inis Mona
- Immortal – In My Kingdom Cold
- Impaled Nazarene – Absence of War
- Into Eternity – Severe Emotional Distress
- Into Eternity – Suspension of Disbelief
- Into Eternity – Out
- Nightrage – Reconcile
- Nightrage – Spiral
- Nightrage – Spiritual Impulse
- Norther – Final Countdown (Europe cover)
Ieri mi sono donato nuovamente al mare dell’Argentario per tutto il pomeriggio. È passato quasi un lustro dal giorno in cui mi risolsi ad attraversare in solitaria un breve tratto di mare per sconfiggere la paura dell’acqua alta che avevo ereditato dalla mia mamma. Ricordo ancora quella mattina di quattro anni fa e la grande liberazione che raccolsi nella sua ora più calda. Quella nuotata catartica fu una delle prime conseguenze pratiche della mia introspezione.
Quando sono in acqua mi sento avvolto da una forma particolare di dolcezza e subentra in me una vivacità quasi infantile benché i movimenti dei mie arti inferiori e le mie bracciate non siano affatto scomposti. Di tanto in tanto, con un’immersione rapida, mi trovo a provocare una diaspora subacquea in qualche banco di pesci che abbia avuto la sventura di capitare nel mio raggio visivo. Altre volte eseguo una compensazione approssimativa per lambire il fondale e farmi accarezzare dalle correnti fredde, ma alla fine riemergo sempre e una volta in superficie espello con decisione l’acqua dal boccaglio. Per me non è difficile trovare scogli appartati da cui cominciare le mie sessioni di snorkeling e mi diverto a raggiungere questi punti un po’ scomodi. La costa frastagliata dell’Argentario combacia perfettamente con la forma regolare del mio stato d’animo. A me non piace abbronzarmi e cerco di salvaguardare la mia cute, ma incontro sempre qualche difficoltà a mettermi la crema protettiva e puntualmente per spalmarla bene dietro la schiena devo improvvisarmi contorsionista. Di solito una doccia serale conclude il mio contatto con l’acqua e mi fa apprezzare quest’ultima al di là della sua indispensabilità.
Ho terminato la stesura de “L’atea verginità, la beata verginità” e mi accingo a ripetere qualche parola che ho già annotato qua sopra meno di un mese fa. Vorrei che ‘sto cazzo mi scrivesse un’introduzione, però non riesco a trovarlo e mi vedrò costretto a rintracciarlo sul cercapersone per chiedergli codesta cortesia. Devo ancora rileggere lo scritto qualche volta per correggere gli eventuali errori di battitura e poi ne farò stampare almeno dieci copie da spedire alle case editrici. Il mio stile nel corso del tempo si è ispessito abbastanza da declassare la mia opera prima a un esercizio letterario. Questa volta nella bozza non ravviso sbavature né imperfezioni e proprio in ragione di ciò mi permetto di sottoporla al mercato editoriale, tuttavia non mi attendo responsi positivi. Io propongo una visione della verginità che esula dalle connotazioni religiose, pedagogiche e nevrotiche in cui viene solitamente inquadrata e suppongo che un approccio del genere sia inedito, inoltre trae la sua forza dalla mia esperienza personale e dunque non è semplicemente un ammasso di speculazioni immaginarie. Quanto ho scritto nelle centocinque pagine del testo si presta all’identificazione, tuttavia non lo reputo di facile emulazione. Sono riuscito a conferire un carattere virile alla verginità, tanto sulle pagine bianche quanto nella vita, ed è questo l’unico merito che può essermi riconosciuto. Certo, non finirò nelle antologie scolastiche grazie alle mie dissertazioni sulle seghe, ma almeno un posto temporaneo nel cestino di un editore non me lo toglierà nessuno. Conosco la qualità del mio scritto e credo che sia passibile di sottovalutazione e sopravvalutazione in egual misura. Per adesso non ho intenzione di cominciare un terzo libro e non escludo che questo secondo sforzo possa essere l’ultimo. Trascorreranno mesi prima d’una improbabile risposta e avrò tutto il tempo per cacciare un nuovo ratto che si è introdotto nella mia magione. Ti prenderò figlio di puttana, a costo di chiamare in causa l’aeronautica italiana e attenderla sul tetto per farmi bombardare.
Cosa la spinge a tastare le mie parole con lo sguardo? Cosa pretende di sapere dalle figliastre della mia scrittura? Tra lei e la realtà c’è una guarnizione culturale, un ammasso di nozioni interdisciplinari. Esile ed eburnea ella tuttavia non soddisfa i requisiti dell’anoressia. Una mente vivace, non v’è dubbio. Pare buona e disarmante, ma anche riflessiva e ostinata. La immagino perfetta come madre, ma le sue fattezze di cristallo me la fanno figurare anche come una malata avvenente di sclerosi multipla. Vorrebbe puntare qualcosa su di me, almeno un po’ di tempo, però io non sono un cavallo di razza, tanto meno uno stallone. Accetto soltanto scommesse impegnative. Non so neanche quale forma abbia la fiducia, ma sarei pronto a ricalcarla qualora dovessi trovarne un esemplare. In futuro dalla sua curiosità nei miei confronti potrebbero spuntare dei dubbi pericolosi per lei, perciò mi auguro che il disinteresse compaia presto nel suo sistema immunitario. Le parlerei in un modo particolare se sapesse eludere con maestria il divieto che ho imposto e le porgerei considerazioni inedite. Per quanto potenziale, non fiuto un’affinità assonante, bensì ne intravedo una omografa, ancora orfana di omofonia e quasi utopica: una viòla che non mi vìola. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia e difatti ne esce sempre una sottrazione paradossale, uno smacco agli sforzi aleatori della casualità e la riproposizione di un vecchio adagio.
Eterno secondo, l’argento è sempre mio, sebbene io ambisca a diventare un bronzo di Riace per mero narcisismo. Voglio mettere le mani avanti senza molestare l’avvenire. Qualunque cosa accada chiaro dev’essere che tra dieci anni un avvicinamento non ci può essere, manco tra un anno invero. La partita si gioca ora oppure non si gioca affatto. Adesso posso lavarmene le mani e approfitto del bidet per dare una passata allo scroto: nessuno me ne voglia, men che meno il garante del bon ton. L’è cara la libertà, ma quando la inquadrerà meglio forse capirà qualcosa che attualmente le sfugge. La ragione è una simpatica ritardataria. Pazienza.
Sfumature estemporanee di un giovedì qualunque
Pubblicato giovedì 15 Luglio 2010 alle 08:05 da FrancescoSi misura con grandezze inesprimibili il silenzio che accompagna un satellite artificiale verso la deriva cosmica. Ad alte quote, circondati da paesaggi impervi e sconfinati, alcuni gruppi di uomini cercano contatti ultraterreni con loro stessi o con gli dèi che per intercessione umana amministrano tradizioni diverse a seconda delle zone geografiche di competenza. I dubbi paterni possono gravitare attorno alla sfericità di una donna gravida e in simili circostanze le domande sull’origine della vita riescono ad assumere dei contorni più terrestri. Le metonimie sostengono turni estenuanti per trasportare pezzi di conversazione e dovrebbero creare un loro sindacato per tutelarsi contro lo povertà di linguaggio. S’ipotecano le frasi ipotetiche e le eventuali allitterazioni per progettare poeticamente i giorni precari di un futuro personalizzato. Escavatrici millantatrici, ecco come spesso si configurano le citazioni latine di cui taluni si avvalgono per dare più profondità a certi discorsi; per l’occasione anch’io ne invoco una benché tale lingua morta per me sia anche sepolta oltreché sconosciuta: “Amor animi arbitrio sumitur, non ponitur”. I fondali marini si offrono al mio sguardo indiscreto attraverso il filtro d’una maschera subacquea e alcuni scritti altrettanto ermetici mi concedono ampie vedute sugli abissi del genere umano. Il mio posto è accanto al finestrino di un aereo per l’intera durata di un volo intercontinentale. Non cerco nulla di nobile né di elevato verso levante, ma ogni tanto preferisco le albe orientali ai crepuscoli dell’Occidente. Non mi attendo celebrazioni per il sessantesimo secondo dal concepimento di questa frase. Nel mio letto c’è abbastanza spazio per me e per le abduzioni dei miei arti.
Sospetto che l’Italia potrebbe essere una nazione migliore se le forze dell’ordine avessero a disposizione più mezzi e un potere maggiore. Se fossi un politico punterei molto sul tema della giustizia. L’eccesso di garantismo, il lassismo, la mancanza di pene adeguate e la lentezza dei processi decrementano notevolmente il numero dei deterrenti che dovrebbero perlomeno indurre i criminali a riflettere due volte prima di delinquere. L’ultima operazione contro la ‘ndrangheta dovrebbe essere salutata dagli italiani quasi come una vittoria ai mondiali di calcio. Malgrado le talpe e le accortezze della criminalità organizzata, in Italia la lotta alle mafie prosegue bene e credo che questi successi non siano neanche parzialmente attribuibili ai vari governi. Questa vittoria contro la ‘ndrangheta si assomma alla preoccupazione dell’ONU per quanto concerne la cosiddetta “legge bavaglio” e mi auguro che possa costituire un peso politico per minare quella sconcezza legislativa. Io non mi rivedo in nessuno dei partiti italiani, ma confido nelle capacità di quella parte sana dello Stato che amministra la giustizia. In larga parte i politici sono incompetenti, ignoranti, retrogradi, vili e saccenti, ma se almeno nei ruoli chiave vi fossero individui preparati, allora non avrei nulla in contrario ad accordare loro i privilegi di cui già godono indebitamente. Tranne rare eccezioni, il giornalismo italiano mi pare che vada di pari passo con la mediocrità della politica e dunque anche verso quest’ultimo nutro una forte diffidenza. Mi fa sorridere chiunque pensi che ogni criminale possa essere reintegrato nella società e grazie a tesi così assolutiste, forse retaggio indiretto e distorto di personaggi come Cesare Beccaria, oggi si possono enumerare gravi casi di recidività che hanno portato omicidi evitabili e sofferenze altrettanto scongiurabili. Fino all’estate scorsa i casi di violenza sessuale andavano molto sulla carta stampata e nei telegiornali, ma quest’anno pare che i media preferiscano gli epiloghi tragici dei casi di stalking: ah, la moda!
Tortelli di zucca nel piatto e ciliegie scure in una ciotola bianca. All’esterno i miei gatti non badano al canto delle cicale e assumono posture inconsuete per offrirsi all’ozio estivo. Mangio lentamente e inframmezzo le forchettate con acqua naturale a cui aggiungo piccole fette di limone. Di solito, prima di lanciarmi nella digestione, lavo a mano le stoviglie. Non ho rospi da mandare giù né voglio trasformarmi in uno di loro per estorcere un bacio a una principessa, però qualche salto improvviso lo compio anch’io in queste righe indeterminate. La parte del mondo in cui vivo è opulenta, però anche all’interno del suoi confini la serenità rimane un lusso che per fortuna io riesco ancora a permettermi senza accollarmi tribolazioni né fisime. Non devo lasciarmi avviluppare dal fascino atarassico di una condizione per me abituale, ma quest’ultima l’accolgo volentieri fintantoché qualcosa di più elevato non reclami il suo posto nella mia interiorità. Per adesso sono vivo, sano e giovane: tre caratteristiche affatto scontate. Non ho alcunché di cui lamentarmi sebbene il quadro della mia personalità sia ancora incompleto. Per quanto è in mio potere, io cerco di evitare le istanze e le rimostranze. Sono grato a mia madre per avermi messo al mondo, ma lo sono ancor di più miei confronti per essermi stato vicino. Voglio annotare una frase di cui non ricordo l’autore: “Prenditi cura del corpo e della mente, così loro si occuperanno di te”. Non è nulla di trascendentale la citazione approssimativa che si trova alle spalle dell’ultima lettera maiuscola, però la trovo ugualmente meravigliosa. Ci sono cose che potrei fare meglio e altre che dovrei fare e basta, ma in entrambe le circostanze soltanto il condizionale è d’obbligo. Mi piace innaffiare il prato mentre leggo. Riservo sguardi torvi alle rose perché alcuni dei miei vecchi palloni hanno impattato più volte contro le loro spine e si sono sgonfiati definitivamente come la boria di taluni dinanzi alle armi semiautomatiche di altri.