Quest’anno avrò bisogno di un pallottoliere per contare i defunti di mia conoscenza. Morti premature, incidenti stradali e malattie incurabili sono le cause principali di una mattanza locale. Questi episodi non mi sconvolgono, ma prendo atto d’ogni dipartita. Una vita può spezzarsi facilmente, ma per taluni è impossibile accettare una simile verità e credono che certe cose possano accadere soltanto agli altri. Non sono una persona cattiva, ne sono sicuro, ma il mio rapporto con la morte è sereno. Ucciderei per non essere ucciso, ma certi nemici godono dell’invisibilità e sono schedati in grassetto sui libri di medicina. Sto bene e so difendermi da mali molteplici, ma non sono in grado di accogliere qualcuno sotto la mia ala protettrice e immagino che questa sia una delle ragioni principali per cui tendo a preservare larghe parti di una solitudine piacevole. Non mi duole il cuore, ma ogni tanto le palle mi si rompono sotto il peso dei bombardamenti di cazzate. Non ho familiarità con il concetto di famiglia, però ho una certa confidenza con la serenità, lo stato benamato a cui spesso mi riferisco con la dovuta riverenza. S’aprano gli obitori, i cuori e le fiche, ma per adesso voglio restarne ancora fuori: preferisco l’aria aperta, io. Ogni tanto mi capitano sotto gli occhi le parole celebri di Lorenzo de’ Medici: «Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza». Non mi rivedo in questa versione prolissa del carpe diem e mi avvalgo della facoltà di citare qualcuno che nacque nell’anno in cui Lorenzo de’ Medici tirò le cuoia, ovvero Pietro Aretino: «Qua giace l’Aretin, poeta tosco, che d’ognun disse mal fuorché di Cristo, scusando col dir: “Non lo conosco”».
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