Mancano undici giorni all’equinozio di primavera, ma i venti forti, le piogge assidue e qualche nevicata inattesa fanno credere che la fine dell’inverno disti ancora molto. Non mi turbano i capricci delle stagioni, però le vesciche che mi sono comparse sui piedi un po’ di fastidio me lo recano. Sono già sei giorni che non coro per via dell’inconveniente suddetto, ma d’altronde a causa del maltempo non avrei potuto correre ugualmente. Approfitto di questa pausa forzata per lavorare un po’ con i pesi e concentrarmi ancor di più sulla stesura del mio secondo libro. La corsa mi indispone all’attività intellettuale poiché richiede un grande dispendio energetico, ma non l’annulla del tutto e spesso il ridimensionamento quantitativo è accompagnato da un incremento della qualità creativa. Quanti paroloni melliflui al cospetto di quest’annotazione. Voglio cambiare marcia al distacco con il quale traino le frasi di quest’oggi. Sono nel fiore degli anni e giaccio incolto in un campo di meraviglie interiori, sotto il cielo presente che per qualcheduno ospita delle tristezze temporali, tra paragoni e iperboli da cui io non dovrei lasciarmi sedurre più di tanto. Di sconforto autentico non ne provo: il motivo? Gli interrogativi più inflazionati tendono a indagare sulle soluzioni (e, mi pare, raramente sulle cause) dei problemi esistenziali, ma io che di simili malanni della personalità per adesso non ne ho, mi domando dove abbia smarrito le preoccupazioni che flagellano le vite di taluni. Mi viene da sorridere e non è la prima volta, ma quasi si scompone in molecole di nostalgia il ricordo lacrimevole dell’ultimo pianto. Diamine, non mi resta che arrendermi alla serenità, alle sue attenzioni carezzevoli, placide.
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