La terra scuote le coscienze con i suoi movimenti bruschi ed erige onde monumentali che ogni tanto generano bagni di sangue. La furia degli elementi si presta alle strumentalizzazioni degli imbonitori religiosi che vogliano plagiare le menti deboli e rafforzare i loro poteri temporali, ma può anche rimpinguare le tasche degli sciacalli e deve essere affilata come una daga dai politici per la lotta elettorale che rappresenta il male necessario di ogni sistema democratico. Le precauzioni antisismiche discordano con gli interessi dei costruttori avidi ed è ovvio che la priorità nell’edificazione di certi immobili riguardi soltanto l’aumento degli introiti privati. È in simili occasioni che il pencolio della sicurezza mostra il suo lato più tetro. Non so se sia più spaventevole un cataclisma o la sua cronaca bieca. La stampa ci siede bene sopra i titoli granitici. Il giornalismo cosparge di sale le ferite aperte e si trincera dietro il diritto all’informazione. Gli occhi di certi direttori s’illuminano d’immenso al cospetto delle catastrofi più remunerative, ma d’altronde si tratta di un adagio antico quanto il mondo: la sventura di alcuni è la fortuna di altri. Intanto anche le crepe separano i morti dai vivi e chissà prima della catastrofe quant’erano già le divisioni amare in seno alle famiglie che sono state ridotte o annientate. Mi chiedo se sia possibile misurare la differenza d’intensità tra lo sguardo di un nuovo orfano e quello di un vecchio geologo. La raccolta di fondi e la raccolta di cadaveri sono appuntamenti imperdibili in circostanze del genere, ma la prima non fa soltanto gola ai filantropi mentre la seconda suscita una bramosia smodata esclusivamente nei necrofili. Di rado sono disposto a rivedere un film che ho già visto e nel frattempo gli emigranti baciano la miseria che per un giorno si è tramutata in fortuna, ma a costoro non resta che guardare in differita le macerie dei loro paesi d’origine mentre coltivano l’orticello di speranze.
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