La terra scuote le coscienze con i suoi movimenti bruschi ed erige onde monumentali che ogni tanto generano bagni di sangue. La furia degli elementi si presta alle strumentalizzazioni degli imbonitori religiosi che vogliano plagiare le menti deboli e rafforzare i loro poteri temporali, ma può anche rimpinguare le tasche degli sciacalli e deve essere affilata come una daga dai politici per la lotta elettorale che rappresenta il male necessario di ogni sistema democratico. Le precauzioni antisismiche discordano con gli interessi dei costruttori avidi ed è ovvio che la priorità nell’edificazione di certi immobili riguardi soltanto l’aumento degli introiti privati. È in simili occasioni che il pencolio della sicurezza mostra il suo lato più tetro. Non so se sia più spaventevole un cataclisma o la sua cronaca bieca. La stampa ci siede bene sopra i titoli granitici. Il giornalismo cosparge di sale le ferite aperte e si trincera dietro il diritto all’informazione. Gli occhi di certi direttori s’illuminano d’immenso al cospetto delle catastrofi più remunerative, ma d’altronde si tratta di un adagio antico quanto il mondo: la sventura di alcuni è la fortuna di altri. Intanto anche le crepe separano i morti dai vivi e chissà prima della catastrofe quant’erano già le divisioni amare in seno alle famiglie che sono state ridotte o annientate. Mi chiedo se sia possibile misurare la differenza d’intensità tra lo sguardo di un nuovo orfano e quello di un vecchio geologo. La raccolta di fondi e la raccolta di cadaveri sono appuntamenti imperdibili in circostanze del genere, ma la prima non fa soltanto gola ai filantropi mentre la seconda suscita una bramosia smodata esclusivamente nei necrofili. Di rado sono disposto a rivedere un film che ho già visto e nel frattempo gli emigranti baciano la miseria che per un giorno si è tramutata in fortuna, ma a costoro non resta che guardare in differita le macerie dei loro paesi d’origine mentre coltivano l’orticello di speranze.
Le calamità e le calamite mediatiche
Pubblicato domenica 28 Febbraio 2010 alle 00:14 da FrancescoLa stesura del mio secondo libro procede bene e probabilmente la terminerò prima di giugno. È un testo che in parte riprende, completa e si distacca dal mio primo sforzo letterario, sempre che io possa qualificare quest’ultimo in tal modo. Quando conclusi la redazione de “La masturbazione salvifica: diario agiografico di un onanista” eseguii un po’ di autocritica a causa di alcuni punti deboli nel risultato finale che a mio avviso coesistevano con episodi stilistici piuttosto pregiati e fu anche per la consapevolezza della qualità parziale del testo che non mi dedicai alla ricerca di una casa editrice. Questa volta potrei proporre il mio scritto al mercato editoriale perché lo ritengo impeccabile e non ho ragione di temere che la stesura delle pagine mancanti possa pregiudicare il lavoro che ho compiuto finora, tuttavia considero abbastanza remota l’evenienza di una mia pubblicazione. Ho scelto di adottare nuovamente la formula introspettiva benché all’inizio mi fossi orientato verso un romanzo di stampo surreale. Non sono bravo a inventare storie a meno che non abbiano caratteristiche di verosimiglianza. Per quanto possibile credo che la mia scrittura debba indugiare sulla realtà, tuttavia ciò non significa che nell’osservazione di questo precetto stilistico io non possa avvalermi di contenuti e metodi estremamente diversi. In futuro mi piacerebbe scrivere qualcosa a quattro mani, ma difficilmente m’imbatterò in qualcuno che sia disposto a realizzare una collaborazione di questo genere. La mia introspezione s’espande senza posa come l’universo in cui è rinchiusa e al contempo mantiene la stabilità della mia armonia. Io carezzo la contentezza. Alcune cose che scrivo sembrano puttanate new age, ma d’altronde non conosco un modo per rendere esplicito e tangibile ciò che non lo è. La felicità non si presta bene alle conversazioni, al massimo alle odi private, ma per il resto credo che debba essere un’esperienza diretta, personale e concreta.
Diversi internauti giungono su queste pagine attraverso ricerche che concernono la scelta della musica per correre. Credo che l’efficacia di una compilation sia piuttosto soggettiva, ma condivido volentieri le mie esperienze. Nell’ultima settimana ho adottato una nuova playlist per affrontare un percorso di 21,8 chilometri (quasi quattro chilometri in più rispetto allo standard delle mie sessioni). Ho coperto la distanza testé citata in un’ora e trentotto minuti, a una velocità media di 13,35 chilometri orari e con un passo al chilometro di quattro minuti e trenta. Quanto ho descritto finora è il miglior risultato in termini di velocità che io abbia mai ottenuto. Ovviamente i miei dati non si sposano con le possibilità di vittoria in una mezza maratona, però mi soddisfano enormemente e in futuro mi auguro di fissare un nuovo record personale. Tra l’ascolto di un album e l’altro, ogni tanto realizzo una playlist come quella che mi accingo ad appuntare. Le mie prestazioni sono legate alla scelta della musica adatta per correre. Alcune tracce le seleziono per il valore emotivo mentre altre (e queste sono la maggior parte) per le caratteristiche prettamente musicali. In questa quarta compilation ho preso in prestito un po’ di roba dalla colonna sonora di Rocky e qualche cover in chiave metal. La raccolta contiene pezzi piuttosto piuttosto celebri e dunque non escludo che almeno una parte di quest’ultima possa fornire uno spunto per altre persone. La cover di “Eye Of The Tiger” dei Pain Confessor l’ho inserita due volte perché mi motiva molto. Quando la compilation termina e non sono ancora giunto a destinazione, faccio ripartire alcuni pezzi a mia discrezione. La cover di “Take On Me” dei Northern Kings è un pezzo a cui voglio dare una nota di merito perché lo reputo l’episodio più esaltante di tutta la playlist.
- Vince DiCola – Training Montage
- Bill Conti – Gonna Fly Now
- Crossfade – No Giving Up
- Robert Tepper – No Easy Way Out
- R.E.M – It’s The End Of the World As We Know It
- The Trophy – The Gift Of Life
- Bon Jovi – You Give Love A Bad Name
- Northern Kings – Take On Me
- Pain Confessor – Eye Of The Tiger
- Metallica – Whiskey In The Jar
- Survivor – Burning Heart
- Bad Religion – Broken
- Guns N’ Roses – You Could Be Mine
- Pain Confessor – Eye Of The Tiger
- Northern Kings – We Don’t Need Another Hero
- Northern Kings – My Way
Ogni anno il giorno di san Valentino viene deriso e vituperato con impropri d’ogni genere, ma io trovo che sia una ricorrenza simpatica e allo stesso tempo non nego le implicazioni commerciali che puntualmente porta con sé. Se avessi mai avuto una ragazza non credo che le avrei regalato cioccolatini o cuscini cuoriformi, però le avrei impacchettato qualche presente ironico per evitare un atteggiamento troppo mieloso e stucchevole. Immagino che io per festeggiare questo giorno dovrei immergere la mano sinistra in un barattolo di Nutella e spararmi una sega, ma oggi non ho proprio intenzione d’imbrattarmi le dita. Questa festa scanzonata concede a molte persone celibi e nubili di rivangare l’amarezza e il risentimento per il loro stato civile, ma non riesco ad accodarmi neanche a costoro e tutt’al più mi fanno sorridere in modo genuino gli atteggiamenti da bambini capricciosi che scaturiscono dalla frustrazione sentimentale. Ho trascorso la domenica a correre e scrivere, ma ho anche sistemato un po’ la casa e ho centrifugato le mie magliette nere. Da un paio d’anni a questa parte mi sono rivelato all’altezza di una massaia e la gestione delle faccende domestiche ne ha tratto beneficio. Ho creato una nuova playlist per le mie sessioni di running e l’appunterò qua sopra nei prossimi giorni per dare uno spunto a tutti coloro che cercano continuamente un po’ di musica con cui agevolare i propri sforzi fisici. Ultimamente ho visto qualche film che mi è piaciuto e ne ho rivisto qualcheduno altrettanto piacevole che mi accompagnava nottetempo quando ancora avevo l’età per infrangere il divieto di visione ai minori. Ogni sera ho una sfida con i fornelli per riuscire a cucinare qualcosa che non risulti freddo dentro e bruciato fuori. Tutto sommato non mi lamento dei pasti che mi preparo, anche se ogni tanto vorrei cimentarmi in qualcosa di più complesso. Mi manca il cibo giapponese e mi rendo conto come sia bizzarro questo fatto per un italiano, ma non ho mai mangiato qualcosa di più appagante del nikuman e mio malgrado non sono ancora capace di farne uno: a Tokyo mi bastavano centocinque yen per deliziarmi palato.
Malgrado il sudiciume che impregna il mondo e le mani di chi abbia ricevuto un mandato per governarlo, la buona musica è immune da cotanta pochezza e colgo ogni occasione per attingere dai suoi anticorpi. Sei giorni fa sono stato al Crossroads, un locale romano dove si è esibito Vinnie Moore: ottima atmosfera e acustica impeccabile. Chiunque apprezzi i virtuosi delle sei corde non può prescindere dal chitarrista suddetto. Durante il concerto Moore ha suonato prevalentemente pezzi vecchi, ma ha proposto anche qualche traccia del suo ultimo lavoro, “To The Core”, un album meno neoclassico rispetto ai suoi canoni e ugualmente ben riuscito a mio avviso. Non conoscevo nessuno dei tre musicisti che accompagnavano lo statunitense, però tutti mi hanno fatto un’ottima impressione e ho gradito anche le parti vocali del tastierista benché talvolta la sua voce uscisse un po’ distorta. Vinnie Moore è un tipo simpatico e dopo la conclusione di un pezzo, nominando i membri del suo gruppo, lui si è presentato così: “My name is Eddie Van Halen”. Alla fine del live ho avvicinato il virtuoso e gli ho detto che forse lo avrei rivisto alla data di Pisa e lui mi ha risposto: “It sounds good, bring the girls”. Io ho detto semplicemente “sure” perché non ho avuto la lucidità d’informarlo che ero la persona meno adatta per quel compito. Che risate! Tra marzo e maggio mi attendono alcuni concerti radicalmente diversi tra loro, ma nel mio umore la musica non cambia mai e ogni genere che seguo riesce ad appagarmi.
Le cattive abitudini sono difficili da estirpare. Sui quotidiani e in televisione incrocio spesso il faccione crucco del papa che si rivolge al mondo con esternazioni banali. Credo che in un paese laico non dovrebbe essere data troppa risonanza a una religione, qualunque essa sia, inoltre ritengo ancor più deprecabile la linea editoriale di molte redazioni ogniqualvolta quest’ultima sottragga spazio a notizie più importanti per la collettività: e così anche la deontologia se ne va a puttane. Non ho bisogno di sentire un vecchio supereroe che borbotta ovvietà mentre qualche piccione tuba nei pressi del suo balcone, altrimenti orienterei la mia parabola verso Gotham City per ascoltare le opinioni di Batman. Nei campi di calcio non sono più ammesse le bestemmie ed è previsto un turno di squalifica per chiunque ricorra alle imprecazioni blasfeme. È la solita fiera del bigottismo, in cui i problemi di facciata vengono ritenuti più importanti rispetto alle questioni serie che ammorbano lo sport nazionale: la mancata valorizzazione dei vivai, la gestione sciagurata dei bilanci societari, la competenza della classe arbitrale e altre faccende che talvolta incrociano il mondo torbido della politica. Non sono un tifoso, ma seguo il calcio in modo neutrale e durante una partita auguro sempre la vittoria alla squadra che riesca a deliziarmi con il gioco più spettacolare o convincente. La bestemmia è cristallizzata nella lingua italiana e ne è una componente forte, diffusa e catartica, perciò qualunque tentativo di estrometterla dal mondo mediatico a mio avviso si traduce automaticamente in un attentato al retaggio culturale dell’intera nazione. Libera bestemmia in libero Stato, dio cane. Non è la prima volta che io affronto questo argomento e in tutta sincerità non penso neanche che sia una questione capitale, tuttavia trovo pericoloso chiunque voglia bandire determinate parole poiché tali censure possono anche preludere a derive di portata maggiore. Non è ammissibile che ancor oggi un bestemmiatore sia passibile di multa. Non ripeterei ciclicamente questa tiritera se l’Italia smettesse di professarsi laica. Negli ultimi anni è cresciuto un forte interesse per apportare alcune modifiche alla costituzione in nome del suo ammodernamento, allora mi auguro che tra i possibili cambiamenti questa nazione venga dichiarata cattolica e si annoveri tra quelle teocrazie contro cui spesso punta il suo dito ipocrita, almeno non ci sarebbe più discordanza tra la teoria e la realtà.
Nell’ultimo mese la mia vita non ha subito sconvolgimenti e il fallimento del mio viaggio non ha avuto su di me le conseguenze catastrofiche che avevo preventivato in un primo tempo. Alcuni anni fa ho impostato la mia esistenza in un certo modo e ne ho accettato le regole, perciò non posso incolpare nessuno per il passo falso che ho commesso a gennaio. Ho battuto la testa contro uno spigolo della mia libertà e mi sono procurato qualche fastidio che avrei potuto evitare se fossi stato più accorto, tuttavia il mio errore di valutazione ha affinato la mia arte di vivere e almeno per questo motivo sono contento che lo sbaglio mi sia servito di lezione. Ogniqualvolta qualcosa in me si guasti, dopo un certo lasso di tempo quella stessa cosa si irrobustisce come le ossa a seguito delle calcificazioni. Non è l’annullamento del viaggio che mi ha turbato ed è stato invece il modo in cui ho cozzato contro i limiti attuali della mia libertà a provocare in me un po’ di stordimento, però ho già riportato la mia serenità al suo livello consueto. D’altronde la vera sconfitta per me si sarebbe concretizzata se una cosa del genere mi avesse realmente atterrito. Mi attendono accadimenti veramente tragici e gioie altrettanto imponenti, perciò non è qualche inezia che può farmi traballare di fronte a me stesso, tuttavia trovo giusto che ogni colpa venga seguita da una punizione e dunque spero di essermi inflitto quella più adeguata senza aver esagerato nell’indulgenza né nel rigore. Vorrei annotare qualcos’altro, ma per adesso mi accontento di queste righe e sono soddisfatto del pezzo d’introspezione che ho ricavato da questa storia.