Gli Stati Uniti sono i migliori produttori di follia omicida e questo primato è stato consolidato ancora una volta da una nuova strage che si è verificata due giorni fa in una palestra di Pittsburgh. Ho cercato le ultime parole dell’assassino, George Sodini, e dopo qualche tentativo sono riuscito a trovare la copia di una parte del suo sito che al momento risulta inaccessibile. Le parole che Sodini ha lasciato in eredità dipingono il ritratto di un uomo solo e disturbato: nulla di nuovo né di raro. Credo che costui abbia cercato in qualche modo di interpretare i problemi della sua vita, ma da quanto ho letto mi è parso che abbia addotto diverse scuse per compatirsi e giustificare il suo piano criminale. Egli aveva un buon impiego, una bella presenza e l’illusione che queste caratteristiche potessero bastare per garantirgli la felicità di cui sentiva un estremo bisogno. Le sue parole erano piene di rassegnazione e rabbia, ma le ho trovate anche scontate e sciocche. Questi eventi dimostrano come spesso la solitudine venga considerata un castigo invece d’un occasione e non penso che la società abbia colpa poiché a mio avviso certi meccanismi interiori possono essere regolati soltanto dal diretto interessato. Se Sodini avesse avuto una fidanzata o una moglie la sua follia non sarebbe stata debellata, ma forse sarebbe restata latente per sempre o avrebbe subito un ritardo nella sua tragica concretizzazione. Immagino che non basti avere una persona a fianco per spazzare via i propri problemi e non penso che si possano instaurare rapporti sani con altri individui prima di risolvere qualsiasi conflitto con sé stessi. Sodini non è stato il primo e non sarà l’ultimo uomo ad essere armato da un’interpretazione distorta della realtà. Ricorrendo a un po’ di humour nero potrei scrivere che la solitudine uccide davvero! A parte gli scherzi fuori luogo, non è difficile trovare soggetti che affidino il loro equilibrio a una relazione malsana o al desiderio incessante di averne una e sebbene le conseguenze spesso non siano eclatanti come quelle di Pittsburgh, ciò non toglie che tali episodi siano altrettanto dolorosi nonostante sfuggano a qualsiasi sguardo. Diffido profondamente di chiunque tema l’isolamento temporaneo o permanente e allo stesso modo guardo con sospetto chiunque neghi l’importanza delle relazioni interpersonali. Esistono persone apparentemente stabili e affermate che sono inconsciamente pronte a innescare la propria autodistruzione qualora i loro fragili equilibri vengano rotti da un evento inatteso; non è raro che i lutti e le separazioni lascino strascichi sanguinolenti. Alla luce di tutto questo io mi sento molto fortunato perché vivo al di sopra della sofferenza comune senza precludermi alcuna possibilità. Purtroppo la depressione è una piaga diffusa e penso che l’introspezione sia uno degli strumenti più efficaci per sconfiggerla, a patto che non sia di carattere organico.
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