Ieri mattina ho camminato per diverse ore da Ueno fino a Shibuya e al mio ritorno in hotel mi sono unito nuovamente al trio francese. Abbiamo cenato dalle parti di Shinjuku e poi siamo andati a Roppongi, una zona di Tokyo sulla quale vale sempre la pena di spendere due parole. Lungo le strade di Roppongi è facile incontrare ragazzi africani che cerchino di attrarre clienti in determinati locali, ma per fortuna i miei compagni di avventura non sono stati così stupidi da lasciarsi spennare in qualche strip club. Ho avuto modo di parlare con un ragazzo originario di Città del Capo mentre i francesi provavano a ottenere alcuni “vegetables” a un prezzo ragionevole per soddisfare il loro vizio oppiaceo. A un tratto ho chiesto a uno di questi sgherri dalla pelle scura se fosse possibile incontrare dei membri della Yakuza e uno di loro mi ha risposto seriamente con un sorriso forzato, inoltre conoscendo le mia nazionalità ha adoperato nella sua risposta una parola della mia lingua che è famosa in tutto il mondo: “Before you need to bring a ‘lupara’ then I can introduce you”. A me sarebbe piaciuto davvero incontrare qualche membro di basso profilo di questa organizzazione criminale, d’altronde credo che la criminalità organizzata (e non i semplice teppisti che si possono trovare in ogni dove) per certi versi rappresenti un tratto caratteristico di alcune nazioni e dunque non vedo per quale motivo non possa essere equiparata ad altre mete turistiche. Anche i ragazzi francesi mi hanno preso sul serio e, quando lo sgherro succitato mi ha risposto senza scherzare, loro un po’ spiazzati mi hanno detto: “If you wish then go but we want just weed”. Quando abbiamo lasciato Roppongi io e il trio maghrebino ci siamo pisciati addosso dalle risate su questo episodio e abbiamo trascorso il resto della notte a cazzeggiare con il pallone tra le vie deserte di Ueno. Al calar del sole Tokyo si trasforma e alcuni giapponesi perdono la loro apparente imperturbabilità nei fumi dell’alcol con tutte le conseguenze comiche che ciò comporta. Durante le ore notturne la capitale nipponica non ha nulla da offrirmi e soltanto la piacevole compagnia del trio francese mi spinge a stare in piedi fino a tardi; ormai io e loro siamo il quartetto europeo che gira per le strade con un pallone arancione. Ieri pomeriggio ho appreso quanto è accaduto in Italia, ma le notizie non mi hanno scosso; è una battuta infelice, ma non potevo resistere. Spero che tutto si sistemi per gli sfollati, ma si tratta di una storia già vista a cui temo che anche questa volta non seguirà un lieto fine. Dovrei chiamare mia madre per sapere se anche in Toscana sia stato avvertito il terremoto, ma ogni volta che viaggio non chiamo mai lei né nessun altro e non intendo interrompere questa buona abitudine. Mi trovo in un paese ad alto rischio sismico, ma da questa parti esistono già da tempo le giuste contromisure; mais bon, c’est la vie.
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E se torni a casa e ti ritrovi la mamma morta, sepolta dalle macerie... poi cheffai?
In quel caso prenderei una pala, scaverei una fossa per seppellire mia madre e poi con la stessa pala inizierei a rimuovere le macerie per fare spazio alla ricostruzione.
Non parlare mai di madre morta!!!!!!!
Minchia, se metti un altro punto esclamativo crolla la pagina.
Come mai non dovremmo scrivere di "madre morta"?