La merda lotta contro la legge di gravità per scalare i piani alti. I giustizieri della notte blaterano prima di andare a dormire e la mattina si svegliano sempre con la testa attaccata al collo. Se la media dei presenti si può chiamare mediocrità, allora i primi arrivano appena alla sufficienza. Vuoi il cambiamento, l’innovazione, ma io continuo a guardare le repliche di Happy Days e mi sembra che Cunningham non si sia ancora svegliato. Come cazzo scrivi? Come cazzo parli? Di sicuro non con il mio cazzo, è troppo minuto per simili mansioni. L’educazione chi te l’ha insegnata? Che vuole che le dica, qua c’è un dislivello: io mi rivolgo a lei in un certo modo e lei si rivolge a me come io mi vorrei rivolgere a lei, ma mi astengo dal farlo perché altrimenti non potrei essere così capzioso. Chi fa da sé fa per tre, ma per un monologo basta scindersi in due e una schizofrenia trina non si dimostra necessaria. Spiegati meglio prima di avvolgerti nei significati. Mi cerca e vuole indurmi in tentazione, ma mica ho preso appuntamento con il diavolo ed è già tanto che io risponda al telefono di domenica. Benzene e fuoco, libera circolazione delle armi e impulsività. Chetiamoci. Cos’è una compagnia? Carne da macello che cammina lungo i campi minati o macellai che minano i campi dei rom. Lo straniero non piace sempre, come il gringo in un film western e personalmente non dissento da chi è diffidente. Donazioni, ma di quale tipo? Classifichiamole come l’epatite. La mamma per me vorrebbe una brava ragazza e io per le mamma vorrei la stessa cosa se fosse lesbica. Il mondo gira, ma gli abusi edilizi restano fermi. L’estate si avvicina e non cessa la prova del malcostume. Il tempo sistema tutto, ma tutto a tempo debito: dio usuraio. La parità dei sessi; ma se una è avvenente deve ottenere gli arti dispari per essere riconosciuta come senziente. Il contestatore non contesta con la sua testa, ma con l’opinione minoritaria che ha il contatore maggiore: non è certo una grande scoperta. Tu dimmi come cazzo potrebbe fare un povero cristo se dovesse tradurre ‘sta roba in un’altra lingua. Neanche buttare le parole a caso, ma smontare tutto e lanciare direttamente le lettere dove capita. Tanto non ci capiamo neanche se ci crediamo. Mica basta avere fede per vincere uno scudetto. Qua si prende l’elemosina dell’entropia. Girano parole come “attori” (non in ambito teatrale né cinematografico) ed “eccellenza” (per riferirsi al fior fiore di qualcosa che deve ancora appassire). Ecco, dinanzi all’uso smodato di simili vocaboli io vorrei cavalcare una bomba atomica come Slim Pickens e non oso immaginare cosa potrei immaginare se avessi più fantasia. Ma ti pare possibile che la gente debba pregare mentre si ammazza? Almeno che si esportino le bestemmie assieme alla democrazia. Per le persone scomparse c’è il cordoglio, che a me ricorda il maresciallo Badoglio; tanto in entrambi i casi c’è sempre di mezzo un armistizio oltre a un’assonanza.
Sono tornato a casa da cinque giorni. Sette ore dopo il mio ritorno in Italia ho sostenuto un esame medico che mi ha permesso di ottenere il certificato per l’attività agonistica, indispensabile per la domanda di arruolamento che ho inviato oggi pomeriggio. Ho ripreso a correre senza problemi, ma d’altronde nel Sol Levante ho camminato molto e di conseguenza non mi sono arrugginito. Mi sento in forma e in meno di due giorni ho smaltito gli effetti del jet lag. Le mie abitudini sono immutate come l’ambiente pacifico nel quale le esercito. Anche questa volta il Giappone mi ha regalato dei momenti stupendi, ma come al solito ho apprezzato anche il ritorno in patria. Non ho novità da annotare e non ne sento la mancanza. Mi mantengo sulla cresta della mia onda personale. La cosa più utile di questo appunto è la sua brevità, ma quest’ultima mi risulta anche simpatica.
Ormai il giorno del mio ritorno in Italia è vicino, ma resterei da queste parti un altro po’ se ne avessi la possibilità. Il Giappone non è un’isola felice come ritengono certe persone ed è pieno di contraddizioni, tuttavia mantiene ancora un fascino che va di pari passo con il suo continuo sviluppo e trovo che questa armonia tra sacro e profano sia eccezionale. Ieri ho giocato di nuovo a calcio assieme al trio francese e ad alcuni giapponesi; bei momenti che non dimenticherò mai. Tra qualche mese spero di servire la bandiera sotto la quale sono nato. Nonostante la mia decisione di propormi volontario nell’esercito italiano per un anno, io mi sento ancora un apolide. Adoro la zona in cui sono nato e nella quale vivo tutt’ora: eremo stagionale che forse non abbandonerò mai definitivamente. Io non so come descrivere il benessere interiore che impera dentro di me da parecchio tempo. Non ho bisogno di nulla perché il mio vuoto interiore è meraviglioso, ma ancora una volta le parole non possono rendere giustizia al piacere di vivere che mi pervade di continuo. Il tempo passa e la bellezza della mia esistenza aumenta in modo esponenziale. Mi sento un eroe di fronte alla mia felicità solitaria, ma questo status positivo non ha toni epici benché allo stesso tempo risulti monumentale. Anche le immagini sanno parlare.
Hitachi, di fronte al Pacifico: questa ci ttadina ha un lungomare meraviglioso.
Due tratti caratteristici del Sol Levante: un ciliegio in fiore e un torii si compenetrano in perfetta armonia.
La fotocamera è puntata su di me con l’autoscatto mentre il mio sguardo è rivolto altrove.
Ieri ho rimediato una bicicletta economica e ho pedalato tutto il giorno per le vie di Tokyo, ma precedentemente, nel corso della mattina, ho fatto un giro a piedi dalle parti di Asakusa per vedere alcuni templi. Mi piace la fede pacata e discreta con la quale i giapponesi omaggiano i simulacri buddisti e scintoisti; trovo che sia una religiosità molto lontana da quella del peccato originale e dai sensi di colpa che caratterizzano alcune correnti cristiane di cui ritengo che il cattolicesimo sia l’esponente principale per quanto concerne questi aspetti. Nei pressi di Iidabashi sono stato fermato da due poliziotti per un controllo dei documenti. La coppia di agenti è stata molto gentile e alla fine mi sono messo in posa con uno dei due mentre l’altro ha effettuato lo scatto: incredibile. Penso che una cosa del genere non potrebbe mai accadere in Italia. Tra l’altro uno dei due poliziotti ha notato la maglia della nazionale giapponese che indossavo e mi ha detto per due volte: “Soccer!”. Prima di andarmene gli agenti si sono scusati per il controllo e poi mi hanno salutato: “Have a nice day and be careful”. Io a questo premuroso avvertimento ho alimentato la brutta fama dell’Italia: “Thank you but I think Tokyo is much safer than my country”.
Qualche giorno fa ho conosciuto Juju, un chitarrista di strada che ho incontrato dalle parti di Shinjuku e al quale ho anche comprato un disco. Costui ha pure una home page: http://fweb.midi.co.jp/~juju/. Mi sono avvicinato a lui seguendo il suono del suo grandioso tapping!
Sempre a Shinjuku ho conosciuto un personaggio davvero grottesco, un individuo che sembrava uscito da uno di quei film polizieschi degli anni ottanta che guardavo da ragazzino. Questo tizio è un pappone australiano che cerca clienti stranieri lungo le strade di Shinjuku e si fa chiamare Charlie; io a lui mi sono presentato con la stessa sincerità e gli ho detto di chiamarmi Raffaele. Charlie ha capito subito che non avrebbe rimediato uno yen bucato da me, ma evidentemente gli sono risultato simpatico poiché ha risposto a ruota libera ad alcune delle mie domande. Gli ho chiesto quale fosse oggigiorno l’attività principale della Yakuza e lui mi ha detto che l’organizzazione si dedica principalmente al traffico di droga e al gioco d’azzardo via Internet. A suo dire lui conosce qualche membro della Yakuza e prova rispetto per loro mentre nutre un odio immenso per i nigeriani che a suo avviso sono rei di essere dei “motherfuckers”. Alla fine ho fatto credere a Charlie di essere in Giappone per tastare il terreno in modo da capire se sia una terra fertile per cominciare un’attività poco legale e così mi ha detto quanto segue, a grandi linee e per quanto io ricordi: “I can sell everything for you in this area, if you can import ecstasy from overseas, that’s the best, here the police is weak, no experience”. Penso che prima o poi questo gioco del finto narcotrafficante finirà con il mettermi nei casini, ma lo trovo divertente, educativo e interessante. Quando mi sono congedato da Charlie sono stato fermato nuovamente da un negro che mi ha chiesto se volessi entrare in un locale, ma io gli ho risposto: “I’m from Italy, I know how it works”. Questo tizio ha sorriso e poi mi ha dato la mano: “Okay man, take care”. In realtà la mia nazionalità non c’entra nulla, la street knowledge ormai la si può ricavare estrapolando le parti autentiche da determinate forme di intrattenimento che si occupano di temi del genere e dalla cronaca nera sia nazionale che internazionale di cui sono sempre stato un po’ appassionato; questo è il caso di dire che tutto il mondo è paese. A parte le storie di qualche gangster della domenica, ogni giorno che passa trovo Tokyo sempre più bella e piacevole da vivere.
Ieri mattina ho camminato per diverse ore da Ueno fino a Shibuya e al mio ritorno in hotel mi sono unito nuovamente al trio francese. Abbiamo cenato dalle parti di Shinjuku e poi siamo andati a Roppongi, una zona di Tokyo sulla quale vale sempre la pena di spendere due parole. Lungo le strade di Roppongi è facile incontrare ragazzi africani che cerchino di attrarre clienti in determinati locali, ma per fortuna i miei compagni di avventura non sono stati così stupidi da lasciarsi spennare in qualche strip club. Ho avuto modo di parlare con un ragazzo originario di Città del Capo mentre i francesi provavano a ottenere alcuni “vegetables” a un prezzo ragionevole per soddisfare il loro vizio oppiaceo. A un tratto ho chiesto a uno di questi sgherri dalla pelle scura se fosse possibile incontrare dei membri della Yakuza e uno di loro mi ha risposto seriamente con un sorriso forzato, inoltre conoscendo le mia nazionalità ha adoperato nella sua risposta una parola della mia lingua che è famosa in tutto il mondo: “Before you need to bring a ‘lupara’ then I can introduce you”. A me sarebbe piaciuto davvero incontrare qualche membro di basso profilo di questa organizzazione criminale, d’altronde credo che la criminalità organizzata (e non i semplice teppisti che si possono trovare in ogni dove) per certi versi rappresenti un tratto caratteristico di alcune nazioni e dunque non vedo per quale motivo non possa essere equiparata ad altre mete turistiche. Anche i ragazzi francesi mi hanno preso sul serio e, quando lo sgherro succitato mi ha risposto senza scherzare, loro un po’ spiazzati mi hanno detto: “If you wish then go but we want just weed”. Quando abbiamo lasciato Roppongi io e il trio maghrebino ci siamo pisciati addosso dalle risate su questo episodio e abbiamo trascorso il resto della notte a cazzeggiare con il pallone tra le vie deserte di Ueno. Al calar del sole Tokyo si trasforma e alcuni giapponesi perdono la loro apparente imperturbabilità nei fumi dell’alcol con tutte le conseguenze comiche che ciò comporta. Durante le ore notturne la capitale nipponica non ha nulla da offrirmi e soltanto la piacevole compagnia del trio francese mi spinge a stare in piedi fino a tardi; ormai io e loro siamo il quartetto europeo che gira per le strade con un pallone arancione. Ieri pomeriggio ho appreso quanto è accaduto in Italia, ma le notizie non mi hanno scosso; è una battuta infelice, ma non potevo resistere. Spero che tutto si sistemi per gli sfollati, ma si tratta di una storia già vista a cui temo che anche questa volta non seguirà un lieto fine. Dovrei chiamare mia madre per sapere se anche in Toscana sia stato avvertito il terremoto, ma ogni volta che viaggio non chiamo mai lei né nessun altro e non intendo interrompere questa buona abitudine. Mi trovo in un paese ad alto rischio sismico, ma da questa parti esistono già da tempo le giuste contromisure; mais bon, c’est la vie.
Sarei molto grato al signor Kim Jong-il se evitasse di giocare con i missili in prossimità della nazione in cui mi trovo dato che uno dei suoi balocchi difettosi è finito al largo del Giappone. Oggi pomeriggio ho conosciuto tre francesi di origini magrebine che soggiornano nel mio stesso hotel e mi sono unito a loro per qualche ora; che il titolo dell’appunto con il quale mi sono congedato dall’Italia sia stato premonitore? Il trio transalpino è composto da due fratelli e da un loro amico. Tutti e tre amano il calcio, perciò abbiamo acquistato un pallone e ci siamo fatti indicare un luogo dove calciarlo liberamente. Durante la nostra ricerca abbiamo parlato molto del nostro sport e i miei compagni d’avventura sono rimasti piacevolmente sorpresi dal fatto che io tifi per la nazionale francese nonostante sia italiano; per loro ho pure indossato la maglia di Ribery che ovviamente non può mai mancare nel mio bagaglio. Alla fine abbiamo incontrato un gruppo di ragazzini giapponesi e abbiamo giocato contro sei di loro. I giovani figli del Sol Levante si sono dimostrati all’altezza dei loro coetanei europei e durante la partitella hanno sfoggiato una buona disciplina.L’educazione giapponese non smetterà mai di sorprendermi. I ragazzini hanno fatto un gioco di squadra preciso mentre io e miei compagni ci siamo dilettati in azioni individuali per mostrare il nostro bagaglio tecnico agli occhi dei passanti; qualche telecronista ci avrebbe definiti leziosi, ma il risultato finale è stato a favore del vecchio continente. Ho parlato un po’ di tutto con i ragazzi francesi e mi hanno detto una cosa che non mi aspettavo: nonostante siano magrebini vedono di buon occhio Jean Marie Le Pen e lo preferiscono a politici quali Segolene Royal in quanto lo reputano un uomo diretto. Alle superiori ho studiato francese per cinque anni e sono in grado di leggerlo correttamente, ma non lo comprendo e soltanto di rado riesco a indovinare il significato di qualche frase grazie alle assonanze con l’italiano: English leads the way. In viaggio socializzo sempre con qualcuno. Non vado molto d’accordo con i miei connazionali e credo che il problema sia legato alla lingua italiana che io reputo bella e allo stesso tempo molto incline alle ambiguità. Dovrei relazionarmi sempre in inglese per non generare fraintendimenti ed evitare tutte quelle situazioni che difficilmente potrebbero verificasi con una comunicazione più essenziale. La lingua italiana è bella e affascinante come una mantide religiosa. Appena avrò tempo e voglia appunterò qua sopra le mie impressioni sulla giornata che ho trascorso a Hitachi. Finora sono stato molto bene, ma per me questa non è affatto una sorpresa e lo scrivo con una punta di orgoglio. Il mio umore spesso è alto e in questi giorni viene elevato ulteriormente dalle condizioni meravigliose in cui mi trovo.
Sono atterrato a Tokyo la mattina del primo aprile, ma per adesso le ho dedicato soltanto un giorno e ho trascorso il resto del tempo a Kashima e a Hitachi. Appena sono uscito dalla stazione di Ueno ho avuto la sensazione di non essermene mai andato da Tokyo e mi sono trovato subito a mio agio. Durante la prima tratta del viaggio ho stretto amicizia con un signore italiano di cinquantasette anni che da un trentennio pratica Aikido e Shiatsu. Quest’uomo era al suo terzo viaggio in Giappone e si apprestava a trascorrere la maggior parte del tempo con il suo maestro di Aikido; la nostra conversazione è stata molto piacevole e ci ha quasi fatto perdere il volo che da Helsinki ci ha portato a Tokyo ove ci siamo separati poiché egli doveva proseguire per Osaka. Il giorno seguente al mio arrivo sono andato alla Tokyo Station e dall’uscita sud di Yaesu ho preso un bus per Kashima, una cittadina che si trova a circa centocinquanta chilometri dalla capitale nipponica. Kashima non è una meta turistica ed è piuttosto piccola, tuttavia l’ho trovata gradevole e ho camminato per un bel po’ lungo le sue vie deserte. Alla stazione di questa cittadina, prima del viaggio di ritorno, ho conosciuto Cristiana, una ragazza australiana di origini danesi che doveva andare a Tokyo per prendere uno Shinkansen con il quale raggiungere Kyoto. Costei si era recata a Kashima per salutare una sua amica d’infanzia, Rebecca, che si è trasferita in Giappone per insegnare inglese e con la quale anch’io ho scambiato qualche parola prima di ripartire alla volta di Tokyo. Quando le due mi hanno visto a Kashima mi hanno salutato subito e poi spinte dalla curiosità mi hanno domandato cosa facessi da quelle parti poiché è insolito che degli stranieri vi si rechino. A proposito di Kashima Rebecca mi ha detto: “This is the real Japan”. Per ora sono riuscito a riconoscere il significato di qualche insegna, perciò la mia conoscenza di ottanta kanji (a fronte dei quasi duemila canonici) non si è rivelata vana. In questo periodo i ciliegi si mostrano in tutta la loro bellezza e riescono persino a incantare lo spirito stacanovista del Sol Levante. In passato ho scritto che non potrei mai vivere in Giappone e specialmente a Tokyo, ma adesso non ne sono più così certo. Se riuscissi a imparare seriamente il giapponese potrei valutare la possibilità di trasferirmi qua per un determinato periodo e decidere in seguito se abbandonare definitivamente la mia patria natia. Forse resterò in Italia per sempre e tornerò saltuariamente in Giappone o forse quest’ultimo ospiterà la mia futura dimora, ma in ogni caso non perderò il contatto con l’arcipelago nipponico. Al momento sono contento di non avere vincoli né legami che mi trattengano da qualche parte. Penso che la mia giovinezza non possa avere una compagna migliore della solitudine: saggia consigliera e dispensatrice di gioia. Mi sento completo e se morissi in questo momento non potrei proprio lamentarmi. Spero che al mio ritorno in Italia io possa prestare servizio nell’esercito per un anno e poi decidere come adoperarmi per il mio futuro. Ho trovato la mia definizione di libertà e mi auguro di non doverla mai correggere. Sono quasi le sei e mezza di mattina ed è ora che io scorra per le arterie urbane come un globulo senza meta.