Qualche settimana fa ho ripreso in mano degli appunti di giapponese che non toccavo da un anno e mezzo. Nel giro di sei giorni ho rimparato a memoria l’hiragana e il katakana. Da circa due settimane sono nuovamente alle prese con i kanji: per ora ne so scrivere circa quaranta e ne conosco sia il significato che le pronunce on e kun. I kanji mi piacciono e da quando ne ho rincominciato lo studio mi sono reso conto della logica (a tratti un po’ contorta) che accomuna certi ideogrammi. Ovviamente non sarò in grado di sostenere una conversazione per il mio secondo viaggio nel Sol Levante, ma almeno questa volta le insegne e i cartelli non mi risulteranno del tutto sconosciuti. Per un italiano è semplice la pronuncia giapponese e, al contrario, non oso immaginare quanto possa essere difficile per un anglofono. Adesso il mio interesse per la lingua giapponese è più vivo e spero di mantenerlo tale poiché mi sono reso conto che le sue difficoltà non sono insormontabili, inoltre credo che lo studio dei kanji sia un ottimo esercizio per la memoria. Ovviamente affronto la lingua da autodidatta e mi avvalgo del materiale italiano e inglese che trovo e seleziono in giro per il web. Non sono un appassionato di manga (gli unici fumetti che abbia mai letto e seguito seriamente appartengono alla serie di Jiraishin), non seguo gli anime né gli hentai sebbene come molti della mia età io sia cresciuto con i cartoni animati made in Japan che un tempo andavano in onda sulle emittenti regionali, inoltre anche la mia passione adolescenziale per i videogiochi nipponici è scemata con l’età. Non sono neanche uno di quegli occidentali che idealizza il Giappone e non credo affatto che sia un’isola felice benché io non possa negare che sotto molti aspetti sia migliore della mia nazione. Sono già stato due settimane a Tokyo e credo che non mi piacerebbe viverci tutto l’anno, ma le sue strade mi entusiasmano e mi riferisco tanto a quelle trafficate quanto alle vie più silenziose che si trovano alle porte della città. Non voglio appropriarmi di una cultura che non mi appartiene e per questo non sono mai stato contagiato dall’entusiasmo che infiamma chiunque veda (a mio avviso erroneamente) nel Giappone una società da imitare. Nel bene e specialmente nel male io sono un italiano.
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