La scorsa notte ho fatto la spola tra Sky TG 24 e la CNN per seguire l’ascesa di Barack Obama. Le elezioni statunitensi non hanno riservato sorprese, ma a mio avviso hanno suggellato un cambiamento inevitabile nel clima internazionale. Non sono interessato all’aspetto politico di questo evento, ma ne apprezzo la forma mediatica. Gli analisti politici sono una razza molto prolifica e tra questi annovero anche coloro che si illudono di esserlo. Non so cosa faranno Barack Obama e il suo staff, tuttavia che gli Stati Uniti e il mondo traggano beneficio da questa elezione o che scoppi un nuovo conflitto mondiale, a me fa piacere che un negro vesta i panni dell’uomo più potente del mondo. Qualcuno userebbe termini come “afroamericano”, “nero” o “di colore” per indicare il neopresidente, ma io trovo che soltanto il primo di questi termini sia corretto quanto quello che ho utilizzato poc’anzi. Il termine “nero” è adoperato per edulcorare la parola “negro” che talvolta in italiano assume un valore dispregiativo, però non ho mai gradito questo compromesso pro forma e ho utilizzato sempre il secondo vocabolo nonostante generi accuse di razzismo. Sono un filoamericano perché apprezzo molti aspetti che appartengono alle contraddizioni statunitensi e non ho mai provato avversione nei confronti del braccio armato di Washington che in parte si estende anche in Italia, ma allo stesso tempo ho sempre ritenuto ridicole le espressioni maccartiste di qualche yankee esaltato. Non cerco l’oggettività al di fuori dell’introspezione poiché non ho i mezzi per dar corpo a delle affermazioni assolute e non mi stancherò mai di sottolineare questa mia prudenza valutativa, ma credo che una superpotenza non consegua un tale titolo soltanto per i suoi meriti bellici.
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