La mia vita interiore merita tutti gli elogi con i quali la investo regolarmente. Io non ho riferimenti sentimentali né spirituali, tuttavia la mia esistenza procede bene. Non ho ambizioni e allo stesso tempo non appassisco nell’indolenza. Per un capriccio filantropico vorrei inebriare i miei simili con le sensazioni positive che mi accompagnano quotidianamente, ma se ci provassi probabilmente la mia vanità assopita si sveglierebbe di soprassalto e prevaricherebbe sulla genuinità della mia armonia. Non reprimo totalmente le espressioni negative della mia personalità e lascio a questi elementi lo stesso spazio che un pastore può concedere alle sue pecore. Le mie descrizioni introspettive sono caratterizzate da una forte monotonia, ma quest’ultima è una prova della loro validità. Ogni tanto cerco di ignorare ciò che sono per affacciarmi sulla mia vita da un’altra prospettiva. Qualche volta mi sembra che la mia disinvoltura strida con la mia inclinazione solitaria, ma in realtà la prima è la figlia della seconda. È la solitudine che mi ha insegnato a non temere le parole ed è grazie a lei che posso affrontare qualsiasi discorso senza provare imbarazzo. Per me è importante avere le capacità di compiere determinate azioni, ma ai fini del mio equilibrio non è fondamentale che io le applichi per ottenere ciò che desidero. Talvolta la noia penetra la pace nella quale vivo abitualmente, ma le sue infiltrazioni sono brevi e spesso avvengono con la complicità della stanchezza. Sono più pragmatico di quanto appaia dai miei appunti prolissi e mi rivedo ancora nel passaggio di un pezzo acustico che ho ascoltato spesso durante l’adolescenza: “I‘m a small town white boy, just tryin’ to make ends meet, don’t need your religion, don’t watch that much TV, just makin’ my livin’ baby well that’s enough for me“.
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