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La smania dell’applauso

Per taluni è inconcepibile che qualcosa venga fatto senza pretese. Credo che ogni opera umana per essere tale abbia bisogno di un atuore e non vedo come la sua esistenza possa dipendere dall’attenzione che le viene riservata. Un disco non ha bisogno di ascoltatori, a un libro non occorre necessariamente un lettore e non è indispensabile che qualcuno usufruisca di un prodotto dell’ingengo affinché quest’ultimo sia tale. Trovo che il mio ragionamento sia abbastanza banale e per questo motivo rimango perplesso quando alcune persone non lo comprendono o fingono di non comprenderlo. Io capisco perfettamente che alcune volte si realizzino delle cose in funzione della considerazione altrui, ma questa premessa non è un dogma per ogni occasione di questo tipo e in particolare non lo è per quelle attività che oggettivamente non possono puntare a risultati eclatanti in termini di popolarità. Non credo che qualcuno abbia perso il gusto di fare le cose per sé, ma credo che le manifestazioni istrioniche di alcune persone emergano più facilmente rispetto alla passione taciturna di altri individui e mi sorprenderei se le cose andassero diversamente. I successi e gli apprezzamenti possono essere piacevoli, ma non costituiscono le fondamenta di ciò a cui si rivolgono e qualcuno si ostina a ritenere che loro mancanza sia il sinonimo di un fallimento. Per me non è vitale che qualcosa venga riconosciuto da un giudizio esterno a meno che io non abbia precedentemente espresso questo bisogno, perciò reputo un fallimento qualsiasi cosa che sia destinata a rimanere incompiuta. L’ossessione per la considerazione altrui è una patologia grave che nega al suo portatore i propri meriti e allo stesso tempo produce una relazione morbosa tra il singolo e la società. Quanto ho scritto finora non è un inno alla misantropia, infatti credo che quest’ultima sia altrettanto nociva. Non so esprimere correttamente cosa intendo e dubito che in italiano ci sia un termine adatto per sintetizzare il concetto che ho espresso finora. In altre parole penso che serva un’interiorità irredentistica per evitare che le aspettative esterne dominino i propri giudizi e le proprie azioni, ma non imputo nessuna colpa ai promulgatori di tali aspettative e credo che la responsabilità di tutto questo ricada esclusivamente su chiunque le tolleri all’interno della propria forma mentis.

Francesco

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