Le fasce ti avvolgeranno e sceglierai le catene dalle quali ti dovrai liberare in seguito. La natura del tuo cominciamento subirà le riverenze dei giganti e ogni atto di cortesia verrà meno quando raggiungerai il tempo del dovere. Attorno alla tue percezioni si alterneranno impressioni di ogni tipo e la confusione sarà pronta ad accoglierti tra i suoi arti tentacolari. Le ricerche sbocceranno spontaneamente in te e le prime saranno rudimentali. Buona parte dei tuoi respiri dipenderanno dalla costanza con la quale ti adopererai per trovare un senso alle tue gesta, ma quest’ultimo sarà inaccessibile a lungo e spesso otterrai soltanto la sua negazione multiforme. I fiumi di parole non debelleranno l’aridità dei tuoi giorni e soltanto una pioggia di dubbi ragionevoli potrà garantirti la continuazione delle tue attese. Lungo la strada e a ridosso di essa incontrerai malfattori e mendicanti altrettanto disonesti, ma dovrai fare attenzione anche agli epigoni per evitare che la loro brama emulatrice ti contagi. Ti fermerai e farai passare le colonne delle ingiurie se la tua integrità ti sarà cara. Non ti lancerai all’inseguimento delle lodi se anteporrai la ragione alla vanità. Le tue azioni non avranno mai la certezza di una ricompensa congrua e l’anonimato, l’oblio e la dimenticanza ti vesseranno per istruirti, tuttavia se sarai all’altezza della tua felicità riuscirai a vedere la natura benevola di questi maltrattamenti apparenti. Dovrai accettare il tuo modo di evolverti e qualche evento ti ricorderà che non esiste una sola via per raggiungere un nuovo punto di partenza. Alcuni sforzi ti sembreranno inutili ed eccessivi, ma in realtà saranno soltanto il preambolo di un supplizio edificante. La tua volontà non ti potrà mai assicurare nulla né potranno le parole dei proselitisti. Esiterai soltanto tu al cospetto dei tuoi fallimenti e fino al termine di un cambiamento radicale avrai sempre il diritto di proclamarti miserabile. Arriverai a mettere in discussione la tua esistenza e quando avrai il coraggio per annientarla allora inizierai ad appropriartene completamente, ma i tuoi sforzi saranno vani se la porrai su un patibolo invece di educarla fino al suo termine naturale. Non dovrai credere a nulla e talvolta neanche a te stesso né alla tue capacità.
Promemoria per la vita futura di uno sconosciuto: prima parte
Pubblicato giovedì 31 Luglio 2008 alle 09:53 da FrancescoLa mia vita interiore merita tutti gli elogi con i quali la investo regolarmente. Io non ho riferimenti sentimentali né spirituali, tuttavia la mia esistenza procede bene. Non ho ambizioni e allo stesso tempo non appassisco nell’indolenza. Per un capriccio filantropico vorrei inebriare i miei simili con le sensazioni positive che mi accompagnano quotidianamente, ma se ci provassi probabilmente la mia vanità assopita si sveglierebbe di soprassalto e prevaricherebbe sulla genuinità della mia armonia. Non reprimo totalmente le espressioni negative della mia personalità e lascio a questi elementi lo stesso spazio che un pastore può concedere alle sue pecore. Le mie descrizioni introspettive sono caratterizzate da una forte monotonia, ma quest’ultima è una prova della loro validità. Ogni tanto cerco di ignorare ciò che sono per affacciarmi sulla mia vita da un’altra prospettiva. Qualche volta mi sembra che la mia disinvoltura strida con la mia inclinazione solitaria, ma in realtà la prima è la figlia della seconda. È la solitudine che mi ha insegnato a non temere le parole ed è grazie a lei che posso affrontare qualsiasi discorso senza provare imbarazzo. Per me è importante avere le capacità di compiere determinate azioni, ma ai fini del mio equilibrio non è fondamentale che io le applichi per ottenere ciò che desidero. Talvolta la noia penetra la pace nella quale vivo abitualmente, ma le sue infiltrazioni sono brevi e spesso avvengono con la complicità della stanchezza. Sono più pragmatico di quanto appaia dai miei appunti prolissi e mi rivedo ancora nel passaggio di un pezzo acustico che ho ascoltato spesso durante l’adolescenza: “I‘m a small town white boy, just tryin’ to make ends meet, don’t need your religion, don’t watch that much TV, just makin’ my livin’ baby well that’s enough for me“.
Apprezzo molto i Behemoth e la mia stima nei confronti della band polacca è cresciuta ulteriormente dopo il Tuska Open Air Metal Festival. Per un paio di anni mi sono allontanato sia dal death metal che dal balck metal e questo periodo di rottura ha combaciato con l’ascesa di alcuni gruppi che tutt’ora non mi piacciono. Per quanto riguarda il death metal mi ricordo l’esplosione melodica che diede un po’ di successo agli In Flames (che non apprezzo) e ai loro cloni grazie a dei pionieri come gli At The Gates (che adoro). Più o meno nello stesso periodo emerse un black metal molto edulcorato nelle sonorità e mi riferisco a certe uscite dei Cradle of Filth e dei Dimmu Borgir che ebbero un riscontro molto positivo anche in una fetta di pubblico poco avvezza al genere. Adoro i Behemoth perché offrono pezzi tecnici e privi di compromessi. Non sono un batterista, tuttavia mi chiedo se Inferno si appresti a dettare un nuovo standard nel suo genere e mi domando per quanti anni riuscirà a sostenere i ritmi a cui suona. Dave Lombardo ha tredici anni più del suo collega polacco e mi pare che non abbia ancora iniziato a perdere colpi, perciò nutro parecchie speranze per la longevità di alcuni rappresentanti del metal estremo. Voglio appuntare un’ultima cosa. Mi piace il black metal sinfonico e adoro i suoi padri, ma non gradisco le degenerazioni melodiche che sono venute in seguito per adattare certi dischi alle esigenze di mercato. Credo che talvolta per me sia indispensabile sottolineare qualcosa che non mi piace per delineare in modo più netto ciò che preferisco, ma affinché questo atteggiamento critico sia costruttivo ritengo che debba essere estraneo a qualsiasi forma di fanatismo. A mio avviso la musica non deve essere trasformata nell’ennesimo luna park dell’Ego ed è per questo motivo che snobbo le discussioni che tendono a un’oggettività fallace. Per me vige una regola fondamentale: ognuno ascolti ciò che vuole e apprezzi ciò che più lo aggrada.
Appunti ulteriori sul tema della serenità
Pubblicato venerdì 25 Luglio 2008 alle 06:16 da FrancescoRecentemente ho speso alcune parole sulla mia serenità e mi accingo a spenderne altre per fornire alle mie letture future una descrizione più dettagliata del mio equilibrio interiore. Nel corso degli anni la mia introspezione è stata piuttosto laboriosa e attraverso la scrittura ho fatto emergere i travagli dei miei pensieri. In questo arco di tempo ho vissuto dei momenti estatici e ho superato i periodi cupi, ma questa alternanza emotiva si è verificata sempre in seno alla solitudine ed è grazie a quest’ultima che ho compiuto progressi importanti per me stesso. Passo dopo passo ho stabilito una sorta di autarchia interiore e ho imparato a fare meno di tutte quelle forme di appagamento che derivano dall’approvazione altrui, ma allo stesso tempo ho evitato accuratamente qualsiasi forma di misantropia per non denigrare i miei simili. Faccio parte di una società e mi avvalgo di alcuni dei suoi mezzi, perciò non la critico ossessivamente per sentirmi estraneo alle sue regole e se mi comportassi diversamente aumenterei a dismisura la quota della mia incoerenza. Mantengo le distanze da alcuni aspetti del mondo che mi circonda e riesco a compiere facilmente alcune rinunce per salvaguardare me stesso. Credo che nel migliore dei casi una pioggia di accuse continua e gratuita a verso i propri simili possa essere una valvola di sfogo, ma dubito che quest’ultima sia in grado di favorire l’evoluzione personale. Oggi la mia serenità è solida e i suoi momenti deboli sono meno intensi, inoltre si verificano a intervalli di tempo sempre più grandi e dunque posso ritenermi soddisfatto del lavoro che ho svolto finora su me stesso. In passato ho trascorso dei giorni tremendi per fronteggiare la discrepanza che vigeva tra le mie intenzioni e i risultati insoddisfacenti che conseguivo. In certe occasioni ho criticato me stesso oltre il dovuto e altre volte sono stato troppo indulgente, ma suppongo che questi siano gli errori di chiunque interpreti male lo zelo dell’autodisciplina. Penso che qualunque cosa sia criticabile e trovo che molte critiche siano opinabili, ma io ho sempre aspirato ad avvicinarmi il più possibile a un giudizio oggettivo e ritengo che quest’ultimo sia più semplice da applicare sulla propria esistenza qualora non si abbia paura di versare dei tributi spaventosi che talvolta sono richiesti dall’imparzialità. Ogni tanto formulo qualche opinione su temi di rilevanza sociale, ma spesso accompagno queste esternazioni con un aggettivo: “trascurabili”. I meccanismi che regolano l’umanità sono più complessi di quanto possa emergere da un discorso qualunquista che si innalzi verso le nubi dai tavoli di un bar, perciò mi dedico con attenzione a questi argomenti ogniqualvolta convergano con la mia introspezione e in tutti gli altri casi non mi cruccio su analisi di questo genere perché non sono un politico né ricopro un ruolo che mi obblighi a prendere delle scelte responsabili per altri gruppi di esseri umani. Per raggiungere un certo distacco da alcune cose ho ridimensionato il mio Ego in un modo abbastanza truce e l’ho fatto tramite la derisione del mio pene. Il fallo non è importante a meno che qualcuno non aspiri a diventare una grande testa di cazzo, perciò l’ho ridicolizzato in privato e in pubblico per negargli qualsiasi valenza. Ovviamente la mia serenità non è qualcosa di astratto né è il frutto dell’autosuggestione altrimenti avrebbe avuto una durata molto breve e le sue carenze si sarebbero già manifestate alle mia attenzione, bensì si tratta di un risultato che ho raggiunto a seguito dell’iter che ho sintetizzato parzialmente in queste righe. Sebbene io sia sereno ciò non vuol dire che dove io metta piede nascano le margherite né tantomento ciò significa che la mia serenità corrisponda a un atteggiamento accondiscendente e buonista nei confronti del mio prossimo. Mi sento bene quando sono calmo e mi sento allo stesso modo quando gli eventi mi portano a incazzarmi, ma in quest’ultimo caso sembra che la mia serenità sparisca temporaneamente perché in tali circostanze non si palesa all’esterno. Credo che alcune persone non riescano a comprendere che il concetto di serenità non è soltanto quello che loro hanno in mente e forse ignorano che ne esistano altre varianti, perciò non mi stupisco che ogni equilibrio interiore possa essere messo in discussione dalle parole e fortunatamente so che su qualsiasi espressione autentica della personalità non può incidere verbo alcuno. Non riesco a capire come taluni pretendano d’insegnare a qualcun altro ciò che quest’ultimo può apprendere soltanto da se stesso. Io ammiro le persone che costruiscono da sole ciò da cui poi vengono animate e sono consapevole della loro esistenza anche se non sono in grado di riconoscerle, perciò a costoro tributo la mia stima. Penso che la vita sia stupenda e la mia affermazione non ha bisogno di soddisfare l’esigenza naif che secondo taluni dovrebbe legittimarla. Non è facile sentirsi completamente appagati e l’indole umana cerca sempre qualcosa di nuovo per fuggire dall’ombra della morte, ma io non voglio nulla di ciò ed è per questo motivo che riesco a muovermi nel vuoto con la familiarità con cui certi mammiferi attraversano gli oceani.
Ho finito di montare il video che ho girato durante il mio viaggio in Finlandia e l’ho caricato sul web per appuntarlo sopra queste pagine. Ho camminato a lungo dentro Helsinki e nei suoi dintorni. Questo filmato provoca un effetto a catena sulla mia mente perché ogni immagine mi induce a rievocarne molte altre. Ho trascorso delle giornate meravigliose e sono stato in luoghi fantastici. I momenti che ho passato in quella terra del nord non possono essere trafugati, tuttavia ne sono ugualmente geloso. Chissà cosa penserò quando riguarderò questo video tra qualche anno.
Per taluni è inconcepibile che qualcosa venga fatto senza pretese. Credo che ogni opera umana per essere tale abbia bisogno di un atuore e non vedo come la sua esistenza possa dipendere dall’attenzione che le viene riservata. Un disco non ha bisogno di ascoltatori, a un libro non occorre necessariamente un lettore e non è indispensabile che qualcuno usufruisca di un prodotto dell’ingengo affinché quest’ultimo sia tale. Trovo che il mio ragionamento sia abbastanza banale e per questo motivo rimango perplesso quando alcune persone non lo comprendono o fingono di non comprenderlo. Io capisco perfettamente che alcune volte si realizzino delle cose in funzione della considerazione altrui, ma questa premessa non è un dogma per ogni occasione di questo tipo e in particolare non lo è per quelle attività che oggettivamente non possono puntare a risultati eclatanti in termini di popolarità. Non credo che qualcuno abbia perso il gusto di fare le cose per sé, ma credo che le manifestazioni istrioniche di alcune persone emergano più facilmente rispetto alla passione taciturna di altri individui e mi sorprenderei se le cose andassero diversamente. I successi e gli apprezzamenti possono essere piacevoli, ma non costituiscono le fondamenta di ciò a cui si rivolgono e qualcuno si ostina a ritenere che loro mancanza sia il sinonimo di un fallimento. Per me non è vitale che qualcosa venga riconosciuto da un giudizio esterno a meno che io non abbia precedentemente espresso questo bisogno, perciò reputo un fallimento qualsiasi cosa che sia destinata a rimanere incompiuta. L’ossessione per la considerazione altrui è una patologia grave che nega al suo portatore i propri meriti e allo stesso tempo produce una relazione morbosa tra il singolo e la società. Quanto ho scritto finora non è un inno alla misantropia, infatti credo che quest’ultima sia altrettanto nociva. Non so esprimere correttamente cosa intendo e dubito che in italiano ci sia un termine adatto per sintetizzare il concetto che ho espresso finora. In altre parole penso che serva un’interiorità irredentistica per evitare che le aspettative esterne dominino i propri giudizi e le proprie azioni, ma non imputo nessuna colpa ai promulgatori di tali aspettative e credo che la responsabilità di tutto questo ricada esclusivamente su chiunque le tolleri all’interno della propria forma mentis.
Ogni tanto la collera e le esternazioni irose consentono alla mia serenità di assumere un aspetto umano, ma le controversie che mi riguardano e il modo in cui le affronto sono cose di poco conto alle quali riservo l’attenzione che reputo opportuna. Non desidero nulla in modo smodato perché mi sento piuttosto appagato. Negli ultimi anni alcune necessità apparenti sono cadute dai rami dei miei bisogni e il loro impatto con il suolo non ha prodotto rumore. Le mie parole non contengono nulla di esoterico e sono tanto distanti da ogni forma di spiritualità quanto lo sono io. Sento una gioia profonda dentro di me, tuttavia non sono in grado di descriverla adeguatamente. Il mio presente è immerso nel vuoto, ma quest’ultimo non è una fonte di tristezza ed è fondamentale che io spenda qualche parola per contenere la portata di ogni fraintendimento futuro. Le mancanze affettive, la nostalgia per un passato apparentemente migliore, l’assenza di un riferimento e il pensiero ricorrente della morte sono alcune parti del vuoto a cui mi riferisco, ma credo che queste condizioni non siano necessariamente le fondamenta dell’infelicità e vedo in loro lo stesso potenziale che spesso è più facile riscontrare nelle rispettive controparti. Se la mia vita fosse stata radicalmente diversa forse non avrei visto alcune cose e con questo non oso affermare che certe prospettive possano essere raggiunte soltanto attraverso l’isolamento, ma io probabilmente non ci sarei riuscito in un’altra maniera e sostengo questa ipotesi sulla base di quanto conosco della mia persona. La mia indole non mi consente di accontentarmi e in parte ne sono felice, ma la mia soddisfazione ha già raggiunto un grado elevato e mi sforzo di preservarla invece di arricchirla secondo i ritmi parossistici che sono richiesti dal lato più ingenuo della mia interiorità. Conosco buona parte dei meccanismi che regolano il mio comportamento grazie una gavetta intensa, tuttavia mi rendo conto che una conoscenza di questo tipo possa essere riconosciuta soltanto da chi la consegue e la esercita poiché neanche quest’ultimo è sempre in grado di certificarla con tutti i crismi di una introspezione imparziale.
Solitudini differenti: tra mediocrità e nobiltà
Pubblicato martedì 15 Luglio 2008 alle 16:45 da FrancescoAlcune persone si autodenigrano per attirare l’attenzione altrui e si lamentano continuamente delle loro esistenze per lo stesso motivo. Disprezzo chi cerca la compassione a buon mercato e nega il suo fine. Io adopero l’autoironia per alleggerire il velo di serietà che talvolta appesantisce le mie indagini introspettive, ma non trasformo mai i miei dileggi in una lagna fastidiosa e trovo che la vita sia un evento eccezionale. Chi denigra sé stesso non incontra grandi difficoltà a fare altrettanto con i suoi simili, ma credo che una condotta di questo tipo possa essere la conseguenza di una integrazione sociale che non abbia avuto un esito positivo. Talvolta chi sente la mancanza dei legami affettivi non ammette le sue necessità e cerca di svalutare le vite di coloro che non sono affatto estranei all’amicizia e alle relazioni sentimentali: spesso è più facile distruggere che creare. Io non ho mai negato il mio bisogno d’amore e ho attribuito sempre un ruolo marginale all’amicizia per descrivere fedelmente quanto mi concerne, tuttavia vivo tranquillamente la mia aridità emotiva e credo che la mia capacità di gestirla sia inestimabile. La mia solitudine è ragionata e ha delle motivazioni precise che ho spiegato in più occasioni, perciò ignoro chi la confonde con un disagio sociale o una scelta obbligata. Penso che i bisogni non vadano trasformati in punizioni, ma credo che questa accada ogniqualvolta qualcuno si rifiuti di guardare ciò che possiede per concentrarsi unicamente su quanto gli manca. Ritengo che certe cose si possano guadagnare soltanto con il sudore e il rispetto verso sé stessi, ma talvolta è facile credere il contrario e lo è ancora di più qualora il diretto interessato non sia avvezzo alla fatica. Io non devo spaccarmi la schiena per provvedere al mio sostentamento, perciò uso l’attività fisica per allenare e mantenere la mia volontà. Talvolta i primi autori dell’emarginazione sono gli emarginati e non mi riferisco ai poveri che vivono per strada, ma a tutte quelle persone che hanno un reddito normale da cui non possono detrarre l’infelicità che caratterizza le loro esistenze. Anche chi ha una vita sociale piuttosto attiva può sentirsi solo in mezzo agli altri, ma la sua apparenza conviviale gli consente di dissimulare ciò che prova realmente e di conseguenza chi lo circonda può soltanto supporre cosa egli provi qualora si sforzi di immaginarlo. Io appaio triste e non lo sono, qualcun altro lo è veramente e nessuno lo nota. Credo che soltanto il diretto interessato possa aiutare sé stesso e per quanto mi riguarda io ci sono riuscito da un po’ di tempo, perciò non mi curo dei danni che subisce la mia immagine e non oso offrire aiuti arroganti a chi ha problemi con la sua vita. Trovo che la mia indifferenza verso certi drammi sia più rispettosa dell’invadenza di chi gioca a fare il samaritano per sentirsi una persona migliore. Ammiro chi riesce a superare le sue difficoltà con i mezzi che ha a disposizione e ritengo che quanto ho scritto finora valga per qualsiasi classe sociale poiché fenomeni come la depressione sono egualitari. Prima di concludere voglio porre l’accento su alcune cose. L’ozio può essere ricreativo, ma quando si trasforma in apatia può risultare fatale e non provo nulla verso chi sparisce dal mondo a causa di quest’ultima. L’amore è un assioma e paradossalmente credo che si possa acquisire la capacità di viverlo qualora si abbia prima conseguito l’abilità di vivere serenamente senza di esso, anche nel caso in cui la sua mancanza sia destinata a protrarsi vita natural durante. A mio avviso la nobiltà della solitudine si basa sul rispetto degli altri ed esige che i suoi rappresentanti si astengano dalla denigrazione gratuita dei loro simili, ma allo stesso tempo questa forma di rispetto richiede un distacco che non deve mai diventare sinonimo di superbia. Non mi sento superiore a qualcuno perché vivo in un certo modo e non mi sento inferiore a qualcun altro che consegue risultati che a me sembrano inaccessibili. Le parole sono inutili, ma le azioni parlano per conto della realtà e non restano mai inascoltate neanche dai sordi né da coloro che fingono di esserlo. Si può affermare tutto e il contrario di tutto, ma alla fine credo che non si dica niente perché le cose veramente importanti si esprimono da sole.
Loreena McKennitt – The Mummer’s Dance
Pubblicato lunedì 14 Luglio 2008 alle 06:33 da FrancescoC’è un disco che mi accompagna da undici anni: “The Book of Secrets” di Loreena McKennitt. Incominciai ad ascoltarlo quando la mia cultura musicale si basava unicamente sui singoli pop che MTV trasmetteva fino allo sfinimento e di conseguenza quelle sonorità celtiche mi sembrarono tanto rare quanto diverse dalle cose che udivo abitualmente in televisione. Dopo un po’ di tempo l’avvento di Napster fomentò la mia curiosità e mi permise di gettare le basi per costruire le mie preferenze musicali, tuttavia “The Book of Secrets” continuò a girare nel mio lettore CD e paradossalmente fu la colonna sonora delle letture attraverso cui raccolsi le informazioni basilari per muovere i primi passi nell’hard rock e nell’heavy metal. Ancor oggi ascolto con piacere alcune parti della discografia di Loreena McKennitt e in particolare l’album in questione, ma non temo che la ripetizione di quest’ultimo possa combaciare con la noia e sono certo che il mio modo di recepirlo resterà identico per tutta la mia vita. Credo ancora che sotto l’orecchiabilità di “The Book of Secrets” vi sia qualcosa di iniziatico, ma forse dovrei adottare questo termine per descrivere “G.I. Gurdjieff: Sacred Hymns” di Keith Jarrett. In ogni caso mi sento fortunato poiché sono stato segnato da un disco piacevole che apparteneva a mio padre e sono scampato per miracolo alle influenze nefaste di una fetta malsana della musica leggera. Devo molto a “The Book of Secrets” e ogni tanto sfoglio le pagine del suo booklet per sentirne l’odore, ma faccio altrettanto con altri dischi che hanno caratterizzato alcune fasi della mia giovane esistenza e al contempo non arresto la ricerca continua che mi permette di appagare il mio udito con sonorità eterogenee.
Gli Yellowjackets, Mike Stern e Le Orme
Pubblicato domenica 13 Luglio 2008 alle 04:24 da FrancescoQualche ora fa sono andato a Montalcino per seguire un evento della rassegna “Jazz & Wine”, ma non ho degustato neanche un vino dato che sono astemio e mi sono limitato a inebriarmi con il concerto degli Yellowjackets e di Mike Stern. Il live si è tenuto in uno scenario molto suggestivo, tuttavia per quanto riguarda il jazz preferisco l’atmosfera da club. Sul palco di Montalcino gli Yellowjackets si sono presentati con Russel Ferrante, Bob Mintzer, Marcus Baylor e Jimmy Haslip che l’anno scorso avevo già avuto la fortuna di vedere dal vivo assieme ad Allan Holdsworth, Chad Wackerman e Alan Pasqua. Il quartetto statunitense ha realizzato ultimamente un album con Mike Stern e da quanto ho sentito durante l’esibizione credo che le forze in campo abbiano realizzato un disco notevole, ma attendo di ascoltare attentamente il lavoro in questione prima di formulare un’opinione precisa. Mike Stern non figura tra i miei chitarristi preferiti, ma lo apprezzo molto e la sua prestazione mi ha esaltato più di quanto mi aspettassi. Una settimana prima di questo evento ho assistito a un concerto gratuito che Le Orme hanno tenuto a Civitella Marittima e di conseguenza ho avuto l’occasione di respirare l’atmosfera magica del rock progressive degli anni settanta. Il trio è stato eccezionale e mi ha stupito quanta energia riesca ancora a sprigionare dopo oltre quarant’anni dall’esordio. Michi De Rossi è un personaggio simpatico e goliardico, inoltre non perde un colpo dietro la batteria, ma sono rimasto estasiato principalmente dalla duttilità di Michele Bon che si è diviso per quasi un’ora e mezza tra la keystar, il synth e l’organo. Non conosco il sesso né le relazioni amorose, ma credo che certi fraseggi siano altrettanto intricati: sì, decisamente.