Uso alcuni metodi comportamentali per affinare la padronanza di me stesso e uno di questi prevede un ricorso continuo all’empatia. Cerco di evitare che le emozioni influenzino eccessivamente la mia condotta e in determinati contesti mi sforzo di agire sempre nello stesso modo per rivendicare l’indipendenza della mia volontà, ma questo procedimento non sottrae nulla al comparto emotivo e si limita a regolarlo per impedire che assurga a un ruolo diverso da quello a cui è destinato in un’esistenza equilibrata. Quanto ho appena descritto si traduce concretamente in un atteggiamento altruistico che in realtà serve la causa di un egoismo positivo. Anche nei momenti in cui sono tremendamente incazzato o smodatamente euforico tento di rapportarmi ai miei simili in modo da facilitare le loro azioni e penso che occorra citare qualche situazione in cui tutto ciò possa avvenire, ma credo che le dinamiche di queste circostanze ipotetiche non vadano descritte cosicché all’immaginazione resti il compito di portare avanti un’indagine facile e positiva con cui accrescere certi aspetti dell’introspezione: all’ingresso di un locale, davanti alle strisce pedonali, di fronte a una domanda vaga, nei pressi di una richiesta d’attenzione o lungo le sponde dei contrattempi. Confermo la mia sovranità individuale ogniqualvolta io riesca a immedesimarmi nelle esigenze del mio prossimo senza che il mio stato emotivo mi condizioni e qualsiasi inezia altrui che io faciliti con il mio comportamento diventa un’unità del mio calcolo volitivo. Trovo che sia incredibile il potenziale che si cela dietro ogni sciocchezza quotidiana e questa considerazione mi permette di notare per l’ennesima volta quante opportunità offra ogni singolo momento dell’esistenza per allenare l’individualità in modo tale che essa non si dissoci dal mondo né da chi lo popola.
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