Di quando in quando ho bisogno di valutare il mio lavoro introspettivo per proteggerlo dalle trappole degli automatismi riflessivi. Ormai ho una buona conoscenza di me stesso. La costanza del mio equilibro dimostra che il boom del mio sviluppo interiore è passato da un po’ di tempo, ma questo rallentamento evolutivo è un bene per il prosieguo della mia esistenza e costituisce un ritmo migliore che mi solleva dai compiti incalzanti di un recupero temporale: non devo più colmare certe lacune e non mi sento più obbligato a chiarire alcune questioni trascurabili. Anche se tutti i miei scritti andassero persi il loro valore personale resterebbe ugualmente dentro di me. I caratteri che dissemino lungo i giorni acquisiscono un’utilità fugace nel momento in cui articolano sensatamente la mia autoanalisi e muoiono subito dopo l’ultimo segno di interpunzione. Le parole che appesantiscono queste pagine sono rovine semantiche e credo che uno sguardo esterno possa coglierne prevalentemente la forma. In termini agricoli i miei scritti sono semine puntuali e le loro riletture aperiodiche sono raccolte efficaci, tuttavia ciò che ottengo a distanza di mesi o anni dal termine della mia scrittura è un frammento immobile che non sottostà alla percezione soggettiva del tempo e per questo motivo ho affermato precedentemente che l’utilità di ogni manifestazione della mia profusione testuale nasce e muore tra il debutto istantaneo della sua prima lettera e l’apposizione altrettanto fulminea dell’ultimo punto. La mia ventiquattresima primavera s’avvicina, ma la sua venuta non è anticipata dal germoglio dei dubbi né dalla fioritura dei timori. Sono pronto ad accogliere la mia nuova età con tutti gli onori che merita. Il mio stato d’animo è ancorato al largo e qualche volta mi trattengo davanti a uno specchio per ammirare la sua stabilità, ma è destinato ad andare in frantumi per rinnovarsi con le migliorie dell’esperienza. Conosco il processo della mia crescita interiore e di conseguenza non temo gli sbalzi d’umore né gli avvicendamenti della sorte.
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Mi è piaciuto anche questo tuo scritto. Ho intenzione di seguire le tue orme, tra qualche anno, aprirò anche io un blog e mi dedicherò all'introspezione, me lo consigli? Cosa fai quando, a volte, si rivela infruttuosa?
PS: Naturalmente mi diletterò anche a dileggiare la mia persona riportando i fallimenti che hanno costellato la mia vita di diciassettenne derelitto: nessun legame profondo saldato, una bocciatura alle superiori
e, dulcisinfundo, essere uscito con "SUFFICIENTE" dalle medie, roba che nemmeno i più grandi ritardati della storia, tra i quali, per inciso, mi annovero.
L'introspezione non è un'attività che occupa molto tempo, ma da quanto hai scritto sembra che tu la ritenga un lavoro.
Non penso che sia salutare né utile una cristallizzazione nella scrittura qualora quest'ultima non sia la conseguenza di una vita attiva.
Le mie parole sono l'ultimo anello di una catena più importante che è costituita da azioni e scelte.
Io non mi limito a dileggiare gratuitamente me stesso, ma talvolta ricorro all'autoironia per evolvermi e riconoscere la comicità involontaria di alcuni dei miei comportamenti.
A me pare che tu voglia semplicemente esternare la tua depressione, ma non ti conosco e anche se ti conoscessi non potrei darti consigli.
Anch'io sono stato liquidato dalle medie con "sufficiente", ma cammino ancora con le mie gambe e per adesso non ho perso nessuno dei miei arti.
Prima neghi alla struttura scolastica la sua valenza e poi ti crucci per il modo in cui ti giudica?
Credo che le tue parole nascano dall'incapacità di integrarti nel mondo invece che da un'individualità sana e producente, ma le mie sono soltanto ipotesi che ricavo da quanto scrivi.
Non mi interessa la tua esistenza perché soltanto tu puoi esserne l'artefice e di conseguenza non posso darti consigli, ma immagino che troverai sicuramente qualcuno che sia disposto a dichiararsi un maestro di vita.
Nessuno ti vieta di seguire le mie orme, ma dubito che tu sappia quali siano e non credo che l'emulazione incosciente sia costruttiva.
Non voglio darmi un tono, ma ho il sospetto che tu mi abbia un po' idealizzato per cercare un guida: nel caso in cui le cose stiano così sappi che hai sbagliato.
Ripeto l'unica cosa che posso affermare senza dubbi: l'esito tua vita dipende da te.
Concludo con la risposta alla tua seconda domanda.
Quando l'introspezione fallisce non me la prendo perché so che ogni fallimento è come una pausa melodica tra le note di esiti migliori.
Le tue parole sono severe ma giuste. Sono arrivato alla solitudine casualmente e la preferisco di gran lunga ad una convivialità forzata. Non ho grandi problemi nei rapporti interpersonali, ma nemmeno grandi capacità di relazionarmi ai miei simili e credo che questo derivi dai limiti del mio carattere e dalla esiguità dei miei interessi. Hai ragione quando dici che ti ho idealizzato e che cerco un totem per la mia solitudine perché ogni tanto sento il peso delle mie prese di posizione. La mia individualità è malsana e non produce nulla semplicemente perché poggia su molteplici strati di merda che sto cercando di spalare, ma è un lavoro che costa fatica: per adesso non ho voglia di prendere in mano il badile e annusare gli escrementi della mia interiorità e so che la mia evoluzione non può avvenire da oggi a domani. Hai ragione: il mio cambiamento può seguire solo un percorso naturale. Ho incontrato più di una persona disposta a dichiararsi maestro di vita.
Scusa se ti tedio ulteriormente, era solo per chiarire. Confido in una tua risposta, ciao.
Io sono giovane e tu lo sei ancora di più, perciò hai molto tempo a tua disposizione per capire come evolverti o per indugiare in una condizione nociva.
A costo di essere ripetitivo credo che l'allenamento fisico e l'accrescimento culturale siano due investimenti sicuri per l'economia dell'interiorità, ma questo non è un consiglio e si tratta semplicemente di una considerazione soggettiva.
Durante la tua adolescenza hai mai usato la solitudine in maniera nociva? Ti sei mai sentito tagliato fuori da certi aspetti della vita? La famiglia ha influito?
Non ho mai usato la solitudine in modo nocivo, ma per un certo lasso di tempo non l'ho utilizzata neanche per propositi costruttivi.
Non mi sono mai sentito tagliato fuori da certi aspetti della vita, ma talvolta, durante l'adolescenza, ho avuto la sensazione che alcuni eventi non potessero accadermi.
La mia famiglia non ha influito molto su tutto questo, ma immagino che sia facile attribuire le conseguenze delle proprie scelte a qualcun altro per non sentirne il peso: il celebre scaricabarile.
Eventi di che genere?
Eventi di vario genere: positivi e negativi.
Un breve elenco: l'infatuazione e la sua fine, l'amicizia e le sue dispute, una malattia e il suo decorso.
Mi sembrava di vivere in una dimensione parallela dalla quale assistevo alle vicende del mondo, ma in realtà ero semplicemente un inetto e non sapevo crearmi delle occasioni per vivere normalmente.
Ancor oggi certe situazioni non le ho ancora vissute e c'è una buona possibilità che io non le viva neanche in futuro, ma in compenso ho più consapevolezza e so gestire con serenità le carenze di un certo lato della mia esperienza.
Per adesso finiamola qua con i commenti, altrimenti si rischia di generare un blog nel blog.
Senza rancore: è soltanto una questione estetica.