La primavera è alle porte e l’avvento imminente della nuova stagione impone un abbigliamento diverso, perciò il drappo rosso che simboleggia la solidarietà nei confronti dei monaci birmani è considerato out mentre si assiste a un revival dell’indignazione per il trattamento che la Cina riserva al Tibet. Mancano pochi mesi all’inizio delle olimpiadi di Pechino, ma a seguito dei fatti recenti qualcuno ha proposto di boicottare l’evento per protestare contro la politica cinese in Tibet come se prima d’ora nessuno conoscesse i problemi che attanagliano questa regione del mondo. In giro per il globo c’è sempre qualche guitto in doppiopetto che è pronto a cavalcare l’onda dell’indignazione popolare per apparire più democratico e umano di quanto lo sia la sua politica interna: si tratta della vecchia storia nella quale il bue dice cornuto all’asino. Vedo delle analogie tra i Paesi Baschi e il Tibet, ma anche con i dovuti distinguo storici mi pare che quest’ultimo goda di maggiore sostegno da parte degli occidentali e oso ipotizzare che buona parte di questa empatia transcontinentale abbia un fondamento iconografico intriso di romanticismo. L’indipendenza non porta sempre benefici e Timor Est ne è la prova, inoltre evidenzia come il successo di una secessione porti con sé un calo notevole dell’interesse per il territorio. Alcuni padani vogliono scindersi dall’Italia, ma non possono reggere il confronto con i colleghi tibetani: la paresi facciale di Umberto Bossi non può competere con l’espressione rubiconda del Dalai Lama.
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