Due settimane fa ho deciso di guardare un altro film di Kim Ki-duk e sono incappato in “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”. Lo stile poetico del regista coreano mi ha incantato anche in questa occasione. Le scene parlano da sole grazie a una fotografia stupenda mentre i dialoghi sono pochi e si amalgamano bene con il resto. La storia si svolge prevalentemente sopra un piccolo tempio che galleggia in mezzo a un lago e questa scelta scenografica mi ha ricordato un altro film di Kim Ki-duk, ovvero “L’arco”. Il tempio galleggiante è abitato da un monaco e da un bambino e il plot si snoda attorno alle fasi della vita di quest’ultimo. Durante l’adolescenza il protagonista conosce una ragazza che viene portata al tempio per guarire da una malattia. Credo che la presenza femminile sottolinei la debolezza della carne di fronte alla possibilità di una passione fatua prima ancora che essa si concretizzi. La giovane cambia radicalmente la condotta del suo coetaneo, ma non intacca minimamente il comportamento ascetico del monaco che a mio avviso rappresenta l’ambizione inconscia dell’allievo. Il film è inframmezzato da una ritualistica poetica che si sposa in modo suggestivo con l’ambiente circostante. Suppongo che il titolo di questa opera di Kim Ki-duk sia una metafora dell’esistenza per descrivere l’evoluzione di un uomo nel corso delle sue stagioni. Amo questo tipo di cinema e penso che abbia degli effetti positivi sulla mia sensibilità, ma ogni tanto me ne allontano per ritrovarlo in seguito con più piacere.
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