Ogni tanto passo in rassegna i miei limiti e mi soffermo sui più buffi. Non sono in grado di guidare decentemente con il cambio manuale, ma probabilmente avrei imparato a utilizzarlo e avrei fatto a meno del cambio automatico se avessi avuto a disposizione soltanto una UAZ dell’Armata Rossa. Suppongo che alcuni limiti siano destinati a rimanere tali laddove non siano compiuti degli sforzi per sradicarli, ma le risorse di un individuo non sono infinite e per questo motivo occorre stilare delle priorità per impiegare proficuamente i propri mezzi. Nel mio caso la guida non è una questione precipua perché ho la possibilità di aggirare il mio limite automobilistico tramite la tecnologia e difatti la mia auto corrisponde alle mie esigenze, ma non mi posso avvalere dello stesso mezzo per lavorare sul mio equilibrio interiore ed è per questo motivo che incentro le mie energie su quest’ultimo. Il mio esempio personale è uno strumento semplice che mi consente di introdurre una conclusione della stessa natura. Per un fumatore accanito il ricorso al tabacco può equivalere all’uso ch’io faccio del cambio automatico sebbene sia abbastanza prevedibile che le conseguenze siano destinate a essere diverse: io non gareggerò mai nel campionato Nascar mentre lui probabilmente competerà con un carcinoma polmonare. Quest’ultimo esempio può sembrare un po’ comico e azzardato qualora non sia contestualizzato, perciò deve essere accompagnato al metro di giudizio che è adottato da alcune categorie di persone secondo le quali il vizio del fumo è meno risibile dell’uso del cambio automatico. Ho preso in esame due limiti che possono essere facilmente sostituiti da altri che abbiano una relazione analoga. In sostanza il vizio del fumo rappresenta un limite poiché il fumatore non riesce a gestire il suo nervosismo e si affida alla nicotina come io delego alla tecnologia il compito di gestire le marce della mia auto. Quanto ho esposto finora non è un mero paragone tra gli elementi che ho addotto per esemplificare il mio pensiero, altrimenti sarei caduto nel ridicolo da qualche riga, ma si tratta di una semplice considerazione con la quale ho voluto rimarcare la matrice comune di due condotte apparentemente diverse e ho cercato di sottolinearne la discrepanza valutativa al fine di ricordarmi che i limiti sono soggetti alla politica della volontà.
Ho superato l’insonnia e ho ripreso ad allenarmi. Il mio corpo è efficiente e il mio umore è ottimo. Mi sento bene perché riesco a compiere gli sforzi che desidero. Ho esiliato la malinconia apatica molto tempo fa, ma ho trattenuto la tristezza autentica e l’ho ridotta in schiavitù per utilizzarla a mia discrezione. Il mio equilibrio è saldo, ma voglio sottoporlo a nuove sollecitazioni per comprendere quali siano i suoi limiti attuali. Non temo i fallimenti né le esagerazioni e delego all’indifferenza il compito di regolare il mio battito cardiaco durante le prove esistenziali. V’è un potenziale nascosto nella volontà e credo che sia sufficiente adoperarne una piccola parte per non ritrovarsi completamente alla mercé degli eventi, ma non ho mai incontrato nessuno che me lo abbia fatto notare e forse è stato un bene che le cose siano andate in questo modo. In certi campi il mutismo dell’esperienza insegna più di quanto riescano a fare le parole melliflue, ma l’appariscenza dei discorsi istrionici è più appetibile per le menti pigre. Se il mio sguardo fosse malizioso ravviserei nelle mie parole un po’ di spocchia irritante e ridicola, ma se mi avvalessi di una lettura simile commetterei un errore interpretativo. Non mi preoccupo dei fraintendimenti che si generano all’esterno della mia vita, ma cerco di sbrogliare ogni matassa della mia interiorità per non lasciarmi imbonire dalle inesattezze delle mie valutazioni.
Nell’ultima settimana ho dormito poco e male, ma il mio corpo non ha accusato troppo la carenza di sonno. Oggi spero di riposarmi adeguatamente per riprendere a correre. Non riesco a concentrarmi e avverto un po’ di stanchezza, ma accetto questo stato transitorio e attendo il recupero delle forze. Mancano meno di tre mesi al giorno del mio compleanno e mi avvicino serenamente alla mia ventiquattresima primavera. La mia vita è ripetitiva come un mantra ed è per questo motivo che l’adoro. Mi ritrovo in uno stato che rasenta l’ascesi, ma svolgo le faccende quotidiane senza problemi e non sfuggo alle conversazioni trascurabili. Il mio eremo è itinerante. Ogni tanto devo partecipare a qualche controversia per salvaguardare i miei interessi materiali, ma non cedo mai alla tentazione di ingaggiare seriamente una querelle. Sono un materialista morigerato e nella mia esistenza non c’è spazio per alcuna forma di spiritualità sebbene possa sembrare il contrario. Non voglio idealizzare il mio tempo in un rifugio di idee per ripararmi dalla realtà e preferisco guardare l’alternanza con la quale uso e spreco le mie giornate. Adoro la costanza, ma non sono sempre in grado di ottemperare alle sue leggi. Talvolta trovo che le mie parole siano un po’ stucchevoli e le irrido per distruggerle e ricomporle, ma le azioni non ammettono una revisione di questo tipo e sulla loro compattezza granitica s’infrange ogni velleità fonatoria.
Accolgo la primavera con piacere e mi auguro che la sua permanenza si protragga più del necessario. Questa stagione evoca fantasie appassionate e flette i desideri verso l’amore erotico, perciò non influenza la mia vita. La mia verginità perdura e continua a rappresentare una delle araldiche che popolano la roccaforte della mia personalità. Sulle alture dei miei giorni solitari rivendico la volontà d’amare completamente e respingo ogni agguato aleatorio che provenga dalla mercificazione dei sentimenti. Oggi come ieri non so cosa sia un bacio, ma la mia inconsapevolezza lo rende un gesto memorabile nei limiti della mia sfera individuale. Difendo l’autenticità dei miei sentimenti a spada tratta perché non voglio diventare uno schiavo del malessere. Sono il dignitario della mia capacità d’amare e irrido le elemosina della mera carnalità. Gioco a carte scoperte e sono pronto a perdere le occasioni della giovinezza qualora un legame artefatto sia l’unica alternativa. Sono libero perché non temo il tempo e la mia condizione mi consente di provare dei sentimenti veridici. La mia tenacia non tende alla misantropia come presumono taluni, ma spiana una strada tortuosa che potrebbe restare deserta per sempre: non temo questa evenienza perché l’ho già messa in conto ed è questa consapevolezza che alimenta il mio vigore sentimentale. Sarei un vile e diventerei un servo della superbia se confinassi la mia felicità nelle dimensioni del mio equilibrio solitario.
Il rilascio aurorale dell’endorfina
Pubblicato mercoledì 19 Marzo 2008 alle 08:04 da FrancescoAnche stamane sono andato a correre. Mi sono svegliato alle sei di ieri sera e sono uscito di caso attorno alle cinque di mattina per lasciarmi alle spalle circa diciotto chilometri. Lo stress fisico per me non è un problema e sono anche preparato a sopportare le pressioni mentali, ma se avessi una certa età mi allenerei con più attenzione per non incrementare le possibilità di un arresto cardiaco. Ho conosciuto alcune persone che hanno complicato il loro quadro clinico con il sovrallenamento e paradossalmente si sono sforzati per stare male sebbene pensassero di agire nell’interesse del loro corpo. Lungo il mio percorso ho attraversato una pineta deserta e mi sono fermato alcuni minuti al suo interno per eseguire qualche trazione. Ormai ho abbandonato la bicicletta, ma non escludo di riprenderla in futuro o di abbinarla all’attività fisica con la quale l’ho sostituita. Un paio di anni fa provai a correre con costanza e ci riuscii durante il periodo estivo, ma smisi per un fastidio al menisco che più tardi potei imputare alle scarpe che indossavo e fu a seguito di questo problema che decisi di iniziare a pedalare. Trovavo che la corsa fosse più faticosa del ciclismo, ma in particolare la ritenevo più pesante sotto l’aspetto mentale e ancor oggi la mia opinione non è mutata. Sono abile a gestire la noia e questa capacità mi consente di affrontare senza problemi i movimenti ripetitivi del mio corpo, ma intanto resta un mistero l’ora in cui andrò a dormire.
La primavera è alle porte e l’avvento imminente della nuova stagione impone un abbigliamento diverso, perciò il drappo rosso che simboleggia la solidarietà nei confronti dei monaci birmani è considerato out mentre si assiste a un revival dell’indignazione per il trattamento che la Cina riserva al Tibet. Mancano pochi mesi all’inizio delle olimpiadi di Pechino, ma a seguito dei fatti recenti qualcuno ha proposto di boicottare l’evento per protestare contro la politica cinese in Tibet come se prima d’ora nessuno conoscesse i problemi che attanagliano questa regione del mondo. In giro per il globo c’è sempre qualche guitto in doppiopetto che è pronto a cavalcare l’onda dell’indignazione popolare per apparire più democratico e umano di quanto lo sia la sua politica interna: si tratta della vecchia storia nella quale il bue dice cornuto all’asino. Vedo delle analogie tra i Paesi Baschi e il Tibet, ma anche con i dovuti distinguo storici mi pare che quest’ultimo goda di maggiore sostegno da parte degli occidentali e oso ipotizzare che buona parte di questa empatia transcontinentale abbia un fondamento iconografico intriso di romanticismo. L’indipendenza non porta sempre benefici e Timor Est ne è la prova, inoltre evidenzia come il successo di una secessione porti con sé un calo notevole dell’interesse per il territorio. Alcuni padani vogliono scindersi dall’Italia, ma non possono reggere il confronto con i colleghi tibetani: la paresi facciale di Umberto Bossi non può competere con l’espressione rubiconda del Dalai Lama.
Apprezzo la sincerità anche quando gioca a mio sfavore e credo che il suo utilizzo consenta a qualche problema di non incancrenirsi, tuttavia penso che occorra molto carattere per agire e parlare in modo tale che la verità possa essere veicolata efficacemente. A mio avviso l’abitudine di mentire denota un’inclinazione autodistruttiva e possiede un forte legame con la stupidità. Non aspiro a un mondo, o semplicemente a un microcosmo, nel quale viga unicamente la verità, ma credo che l’incidenza di quest’ultima debba tendere ad aumentare nel computo delle proprie affermazioni. Le frasi franche possono produrre conseguenze sgradevoli: l’imbarazzo, una forte tensione tra gli interlocutori o tra le parti dell’Io, la perdita di qualche vantaggio o la necessità di riconsiderare ed eventualmente rettificare il proprio giudizio. La reticenza è subdola e spesso viene implementata nelle strategie meschine di individui riprovevoli che se ne servono per rendere più comodi i loro rapporti interpersonali, inoltre raggiunge il non plus ultra della slealtà ogniqualvolta venga addotta la necessità del savoir-faire per la sua apologia. Non posso negare che la sincerità mi abbia causato qualche problema passeggero, ma penso che ogni cosa abbia un prezzo e in questo caso ritengo che il gioco valga la candela. Prima di apporre l’ultimo segno di interpunzione devo stendere una nota. Approvo la reticenza quand’essa sposa la causa dell’indifferenza nelle scelte radicali che talvolta producono fratture insanabili.
Oscillo in silenzio tra il giorno e la notte, ma non m’illudo che il mio moto sia perpetuo e spesso rammento la sua provvisorietà. Non cerco la soddisfazione personale e non ho ambizioni filantropiche, ma la mia forma mentis non confina con l’apatia né con il menefreghismo. Nutro un disinteresse totale nei confronti di molti discorsi, ma presto attenzione al modo in cui vengono modulate le parole che li compongono. Non è la superbia che mi allontana dalle opinioni, bensì la consapevolezza di quanto valga poco ogni parola che non ricalchi la realtà. Freno le mie esternazioni verbali e preferisco annoiarmi in modo genuino ogniqualvolta l’alternativa sia un divertimento fallace. Alcune volte credo che la mia età non mi rispecchi e in altri momenti sorge in me il dubbio che io non sia in grado di rispecchiarmi nella mia età. Sono fiero dell’equilibrio che vige nella mia condotta solitaria e penso che la sua costanza sia indice di serenità, ma non ignoro la bellezza che si trova al di fuori della sua portata e la contemplo da lontano. L’isolamento mi ha rafforzato nei segmenti della mia giovane esistenza e oggi le difficoltà del passato mi sembrano delle inezie, perciò non ho motivi validi per ritenere che alle avversità del presente spetti una sorte diversa. Non ho bisogno di una forma di fiducia sebbene la mia autostima sia alta quanto il tasso glicemico di un diabetico. Non aspetto che una zingara usi le sue carte per giocare d’azzardo sul mio futuro e non cerco una divinazione delfica per ottenere un po’ di conforto inutile. Non temo il futuro malgrado i suoi presagi funesti e la mancanza di questa paura è una delle colonne che sorregge l’equilibrio della mia condizione anomala.
Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera
Pubblicato sabato 8 Marzo 2008 alle 15:15 da FrancescoDue settimane fa ho deciso di guardare un altro film di Kim Ki-duk e sono incappato in “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”. Lo stile poetico del regista coreano mi ha incantato anche in questa occasione. Le scene parlano da sole grazie a una fotografia stupenda mentre i dialoghi sono pochi e si amalgamano bene con il resto. La storia si svolge prevalentemente sopra un piccolo tempio che galleggia in mezzo a un lago e questa scelta scenografica mi ha ricordato un altro film di Kim Ki-duk, ovvero “L’arco”. Il tempio galleggiante è abitato da un monaco e da un bambino e il plot si snoda attorno alle fasi della vita di quest’ultimo. Durante l’adolescenza il protagonista conosce una ragazza che viene portata al tempio per guarire da una malattia. Credo che la presenza femminile sottolinei la debolezza della carne di fronte alla possibilità di una passione fatua prima ancora che essa si concretizzi. La giovane cambia radicalmente la condotta del suo coetaneo, ma non intacca minimamente il comportamento ascetico del monaco che a mio avviso rappresenta l’ambizione inconscia dell’allievo. Il film è inframmezzato da una ritualistica poetica che si sposa in modo suggestivo con l’ambiente circostante. Suppongo che il titolo di questa opera di Kim Ki-duk sia una metafora dell’esistenza per descrivere l’evoluzione di un uomo nel corso delle sue stagioni. Amo questo tipo di cinema e penso che abbia degli effetti positivi sulla mia sensibilità, ma ogni tanto me ne allontano per ritrovarlo in seguito con più piacere.
Ogni tanto guardo qualche partita di calcio per rilassarmi. Non tifo per una squadra in particolare, ma simpatizzo per il calcio inglese. Preferisco seguire un match in solitudine per concentrarmi sulle dinamiche del gioco invece di lasciarmi distrarre dai commenti faziosi di qualche spettatore. Non mi piacciono i programmi sportivi né tutto ciò che ne consegue. Solitamente guardo le partite via Internet e mi diverte il tono entusiasta della telecronaca cinese. Mi piace la Premier League e credo che attualmente sia il campionato più bello del mondo, ma penso e che anche la Seria A offra ancora un ottimo spettacolo malgrado le polemiche e gli scandali del passato recente. Mi sono emozionato per l’esordio stellare di Alberto Paloschi nel campionato italiano e ho visto in diretta come ha trasformato il suo primo tocco in Serie A in un gol epocale che è valso tre punti al Milan. Sempre in ambito rossonero mi sono piaciute le giocate di Alexander Pato e quando l’ho visto segnare per la prima volta contro il Napoli ho spezzato il silenzio della mia stanza con un applauso spontaneo. Al momento penso che Cristiano Ronaldo sia uno dei giocatori più forti del mondo e tra le file del Manchester United apprezzo anche le capacità offensive di Wayne Rooney. Mi aggrada il gioco giovane dell’Arsenal e ieri sera ho assistito con piacere alla partita di Champions League che i Gunners hanno vinto grazie a una prestazione superba di Cesc Fabregas. Ritengo che anche il Liverpool abbia delle ottime qualità e di quest’ultimo club ammiro la compattezza. Nonostante abbia citato dei grandi talenti il mio giocatore preferito è sempre Franck Ribéry che attualmente si trova in forza al Bayern Monaco e credo che nel suo ruolo egli non abbia rivali. Ho sottolineato più volte la mia stima per il calciatore transalpino e posseggo anche una replica della maglia che indossa nella nazionale francese. A mio avviso il calcio è un passatempo meraviglioso e penso che i televisori vadano spenti ogniqualvolta sia possibile uscire per dare due calci a un pallone assieme a qualcuno.