Siamo tutti uguali nella nostra emarginazione e tra i nostri ranghi la classe sociale non ha importanza. Siamo visti con diffidenza dai coetanei a cui non ci siamo mai aggregati perché abbiamo preferito coltivare la nostra misantropia piuttosto che accodarci alle ipocrisie di certe amicizie. Sotto le nostre mani scorrono dischi di ogni tipo e di ogni era nello stesso modo in cui i globuli attraversano i vasi sanguigni. Non partecipiamo alle feste in cui dovremmo recitare una parte del cazzo e le disertiamo con la stessa convinzione di un giovane coscritto che non può tacitare la sua coscienza. Siamo abituati a stare da soli nelle nostre camere nelle quali trascorriamo intere giornate in compagnia di noi stessi, della nostra musica demoniaca e dei vessilli di qualche band che abbiamo eletto come nostra alleata nella catarsi sonora. Abbiamo una forte inclinazione per le tematiche macabre, ma sappiamo amare più di quanto si possa dedurre dai nostri modi. Siamo un esercito senza generali e marciamo con le cuffie in testa mentre tutti gli altri dormono. Rimaniamo fedeli a noi stessi anche quando la vita assomiglia a una copertina dei Cannibal Corpse. Mandiamo a fare in culo chi ci offre un po’ di felicità edulcorata e preferiamo la crudezza del nostro realismo che noi abbelliamo con un immaginario apocalittico grazie al quale riusciamo a sostenere il peso della nostra solitudine costruttiva. Siamo i figli di una rivoluzione personale che celebriamo ogni volta che decoriamo lo spazio attorno a noi con le note distorte e le voci acutissime di qualche album che consideriamo vitale come un pacemaker.
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