Ho iniziato il nuovo anno con la febbre alta, ma ormai mi sono rimesso. Ho ancora un po’ di raffreddore e ho intenzione di riguardarmi qualche giorno per sicurezza. Il trenta dicembre sono andato a vedere Richard Benson all’Alkatraz di Fiumicino e probabilmente mi sono ammalato in mezzo alla bolgia di insulti e sberleffi che sono volati verso Richard tra un lancio di oggetti e l’altro. Non ero mai stato nel locale suddetto e ne sono rimasto piacevolmente colpito. Il posto non è molto grande, ma è stato realizzato ottimamente per evocare l’atmosfera del celebre carcere statunitense: la selezione musicale è ottima, i prezzi sono nella norma e la gente è genuina. Per il sesto anno consecutivo ho trascorso il Capodanno a casa, ma non mi è dispiaciuto affatto dato che la goliardia meravigliosa della serata precedente non poteva essere surclassata a breve termine. Avevo dimenticato quale spossatezza potesse generare l’influenza e avrei fatto a meno di ripassare i suoi effetti per un altro paio di anni. Ogni malattia, anche la più banale, mi rammenta la finitezza dell’uomo. Talvolta cerco di immaginare un gruppo di microbi che appaia in formazione sotto le lenti di un microscopio per scrivere “memento mori”. Secondo una certa lettura delle profezie dei Maya mancano quattro anni alla fine del mondo, ma dubito che la vita sul globo terrestre sia destinata a sparire in meno di un lustro e sono propenso a credere che il popolo dei Maya non c’entri nulla con le conclusioni azzardate di certi soggetti.
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