Cammino lentamente lungo un viale deserto. Tengo il capo abbassato e le mani dietro la schiena mentre la mia andatura pacata mi porta verso nuovi silenzi. Sporadicamente rivedo l’imponenza di alcune porte chiuse e impedisco a una goccia agrodolce di gettarsi da uno dei miei zigomi, ma in altre occasioni sento le carezze del mio stupore e mi lascio rapire dall’estasi di un momento intenso, isolato e imprevedibile. Osservo la mia giovinezza come se fosse già un ricordo lontano, ma il mio punto di vista è viziato dai tranelli del tempo. Non accetto consigli perché sono in grado di sbagliare da solo, ma ascolto con attenzione la voce supplichevole che di tanto in tanto emerge dai miei recessi. Mi chiedo se il mio viaggio verso la senescenza preveda una sosta importante, ma non faccio affidamento su questa evenienza e procedo senza collezionare rassicurazioni temporanee. Compio molti sforzi per non consentire alla stanchezza di parlare al mio posto e per proibirle di fare le mie veci. Cerco di migliorarmi per non versare il mio tempo nelle casse degli errori. I miei progressi non sono sempre visibili e talvolta sembrano inezie o stupidaggini, ma non mi preoccupo della loro estetica nonostante io sia un’amante della forma oltre che della sostanza. Mi accingo a fare il prossimo passo senza pormi troppe domande.