Un ex detenuto è finalmente a piede libero e con un piede nella fossa. I colori tenui di una giornata nuvolosa abbagliano i suoi occhi. È riuscito a pagare il suo debito con la giustizia, ma gli resta ancora da scontare l’ergastolo di un’esistenza misera. Un uomo apprende la notizia della morte della madre mentre si trova in Messico e per lo shock incomincia a passeggiare come un’anima penitente tra due file parallele di sombreri che osservano la siesta. Un prete recita la messa domenicale prima di lanciarsi in un sermone contro l’adulterio, ma tra un vaneggiamento biblico e l’altro dà occhiate fugaci alla moglie di un suo parrocchiano con la quale è solito appartarsi nottetempo nella sagrestia. Nei bagni del Palazzo di Vetro si riflettono i vizi segreti di alcuni tossicodipendenti che ricoprono cariche di potere. Nel cuore dell’Africa i capi tribali di due fazioni nemiche rompono il loro patto di non aggressione ed evocano le risate anamnestiche di Ribentropp e Molotov. Un poeta di strada scrive elegie funebri e le consegna a coloro che si vanno a suicidare dal ponte sotto il quale vive da decenni. Un neurochirurgo e uno scienziato sono stati radiati dai rispettivi albi e hanno deciso di unire le loro conoscenze per creare patologie artificiali. In un paese dell’Est la negligenza indossa gli abiti di un pittore e crea un acquarello radioattivo con i colori delle esplosioni di quattro reattori nucleari.
Ipotesi sperimentali di passione: parte seconda
Pubblicato giovedì 4 Ottobre 2007 alle 08:07 da FrancescoProva a insegnarmi qualcosa che non sono in grado di imparare cosicché io possa osservare come scuoti la testa. Apri una delle tue mani e imprimi violentemente lo stampo delle tue cinque dita sulle mie guance disabituate al contatto umano. Sparami in testa e poi partoriscimi. Creami a tua immagine e somiglianza prima che io mi uccida per ricostruirmi daccapo con le mie mani. Facciamo un passo oltre i limiti del possibile. Usa il tuo kajal per tracciare sulla mia schiena le coordinate del nostro chalet lunare. Interpretiamo le nozze di Cana e assicuriamoci che la nostra taumaturgia non si limiti alla moltiplicazione delle vettovaglie. Creiamo un totem del nostro vincolo e neghiamogli qualsiasi banalità cuoriforme. Cambiamo costantemente il nostro stato di aggregazione. Io costruisco e tu demolisci. Tu costruisci e io demolisco. Scambiamoci i sessi, le età, i ricordi e tutti gli altri orpelli che non occorrono alla nostra riconciliazione cosmogonica: invecchiamo di colpo e torniamo spermatozoi per gettare nei venti solari la ciclicità dei nostri errori. Ammutoliamo i poeti e stracciamo le loro odi. Riscriviamo i libri sacri senza usare le parole e usiamo i liquidi seminali per incollarne le pagine. Dissociamoci da ogni equilibrio e seguiamo l’andamento caotico di una creazione continua. Sappiamo che “amore” è una parola composta dalle lettere di alfabeti primitivi, ma dietro la sua forma etimologica si cela pacificamente un’energia che va al di là di qualsiasi connotazione morale. In ultima analisi decapitiamo gli stereotipi della tristezza e della sua antitesi, ma non dimentichiamoci di attendere con ansia che esplodano le parole e chi le incorpora pedissequamente nel proprio vissuto.
Ipotesi sperimentali di passione: parte prima
Pubblicato mercoledì 3 Ottobre 2007 alle 05:54 da FrancescoAl posto delle labbra abbiamo due conduttori termici. Il tempo usa due dita sporche per schiacciarci: la presenza del passato e la fine del futuro. Parliamo lo stesso idioma, ma sembriamo due muti che non conoscono il linguaggio dei segni e riusciamo a comunicare solo quando le nostre debolezze utilizzano le stessa frequenza. Ci puntiamo addosso i nostri segreti e alziamo le mani per fonderci in una figura erotica che ricorda Ganesh. Deformiamo i piumoni con le abduzioni e le adduzioni che proteggono la simmetria simbiotica di un istinto di complementarietà. Le luci ci servono soltanto per assicurarci che le nostre ombre combacino. Non rifuggiamo dalla morte poiché ne siamo parte ed elogiamo noi stessi perché siamo i fondatori dei ponti che ci uniscono per miracolo. Ripetiamo i nostri nomi come se fossero dei mantra e svuotiamo di qualsiasi significato i nostri corpi per trasformare l’abitudine procreatrice della nostra specie in una rivoluzione emotiva. Siamo gli strumenti organici della nostra sopravvivenza interiore e teniamo svogliatamente la mano della verosimiglianza della realtà apparente mentre scendiamo a rotto di collo i gradini della follia più recondita. Raccogliamo tutti i frammenti temporali che la nostra memoria può contenere e ne appoggiamo le parti più significative dentro le teche aortiche a tenuta stagna per evitare che il sudore della voluttà ne impregni la forma.
Lei si ribellò all’imprinting. Non accolse gli uomini paganti tra le sue grazie e non prese i voti: non fu una puttana né una santa. Ebbe due gemelli che accudì con spirito materno: il suo volere e la sua femminilità. Studiò e lavorò per diletto e per dovere, ma ne sentì raramente il peso poiché svolse meccanicamente le sue mansioni e usò la mente per dipingere dei fiori d’arancio. Non seppe mai il nome di suo padre, ma ne cercò i tratti nei volti dei suoi amanti. Frequentò artisti poco quotati e medici abortisti. Fino alla sua menopausa ebbe il terrore di rimanere incinta e non volle farsi ingravidare per evitare alla sua prole potenziale l’esperienza traumatica del mondo umano. Lei protesse idealmente i figli che non ebbe e cullò le sue disgrazie per placare il bisogno della maternità. Quando era triste indossava un foulard e degli occhiali neri, poi si metteva alla guida della sua vecchia Aston Martin decappottabile e sfrecciava lungo le colline indorate di un luogo rinomato. Frequentò più di un club mondano e seminò scie di Chanel che qualche bellimbusto seguì per arrivare al suo cospetto. Amò i vestiti costosi e la letteratura russa, i pettegolezzi della sua parrucchiera di fiducia e le tragedie di Euripide. Le sue mani recitarono divinamente ogniqualvolta si sottoposero alla manicure e le ragazze più giovani la osservarono sempre con riverenza per tentare di replicarne l’aplomb.
Un uomo folle decapita una chiaroveggente e ne porta via il cranio per usarlo come sfera di cristallo durante i suoi tentativi divinatori. Un padre accompagna la figlioletta a scuola e prima di salutarla le infila nello zaino una bomba a orologeria. Un’ora dopo i pompieri ricevono una richiesta d’intervento a seguito di una forte esplosione. La radio locale interrompe i suoi programmi per dare la notizia della tragedia e rapidamente anche le emittenti maggiori si concentrano sul fatto. L’autore della strage ascolta i notiziari e sorride mentre sistema alcune pratiche nel suo ufficio. Un peschereccio incrocia un’imbarcazione di clandestini che sta per affondare in alto mare. L’equipaggio deride gli uomini disperati che si trovano sul natante di fortuna e osserva quest’ultimo mentre si inabissa. Una madre lancia il proprio neonato verso il peschereccio per tentare di salvarlo dalle acque, ma il piccolo urta contro il fianco dell’imbarcazione e cade in mare sotto le risate dei pescatori. Una ventenne inala diversi grammi di neve settembrina e i suoi cosiddetti amici abusano di lei mentre muore d’overdose, ma per lo meno si prendono la briga di lasciare il suo corpo di fronte alla casa della madre. Un barbone impicca tutti i gatti che trova e ogni giorno ne prende uno dalla sua scorta pendente per cucinarlo sotto il ponte inagibile dove risiede assieme alla sua pazzia. Una maestra di provincia organizza il gioco della campana sopra un campo minato e mette una nota sul registro a ogni alunno che si rifiuta di morire davanti ai suoi occhi.