Qualche ora fa ho visto l’ultima parte della trilogia dei colori di Krzysztof Kie?lowsk e mi è sembrata un’ottima conclusione. La protagonista è una studentessa di nome Valentine che vive da sola e lavora come modella. La giovane ha una relazione con un uomo che si trova all’estero con il quale scambia quotidianamente delle telefonate pregne di gelosia. Il film entra nel vivo quando Valentine incontra la figura enigmatica di un uomo anziano che vive in solitudine. Il vecchio in questione è un giudice in pensione che trascorre le sue giornate a spiare le conversazioni telefoniche dei vicini e si rapporta con Valentine in un modo misterioso che a tratti diventa divinatorio. Gli eventi si succedono con un ritmo perfetto e sono adornati da elementi ricorsivi che aggiungono un po’ di stupore alle sequenze. Il film non termina in maniera autoreferenziale, infatti il finale si lega anche i ai capitoli precedenti e sintetizza uno dei significati della trilogia prima che compaiano i titoli di coda. I tre colori di Kie?lowsk hanno dipinto alcuni dei miei pomeriggi grigi e mi hanno portato a riflettere sulla vita da un punto di vista che poggia sul destino e sul fatalismo, ma ho preso in esame questa prospettiva senza accettare completamente le comodità stupide e nocive della presunta ineluttabilità degli eventi.
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