Anche oggi mi sono immerso nella campagna che avviluppa il mio comune. Dopo ventitré anni i colori della Maremma mi appaiono ancora vividi e probabilmente rimarranno tali anche quando la cataratta mi impedirà di accorgermi del loro splendore. I riflessi solari che galleggiano sulla laguna e gli spazi indorati che le si sovrappongono tutt’intorno conferiscono un tenore pacifico ai miei pensieri. Di tanto in tanto percorro una strada che fiancheggia la linea ferroviaria e quando un treno sopraggiunge io cerco di salutare il macchinista, ma non riesco mai a capire se il mio cenno giunga a destinazione o se si perda nel frastuono prima di cadere sui binari. Le radure che frequento irregolarmente mi suggeriscono immagini e fantasticherie con cui cerco di pennellare poeticamente le mie pedalate. I suoni lontani dell’autostrada e la quiete arancione del tardo pomeriggio mi inducono spesso a ricordare che non mi sono mai allontanato da qualcuno poiché non mi sono mai avvicinato a nessuno. Gli scenari incantevoli che squadro ogni dì, adatti a posare per i paesaggisti pedissequi o per l’ultimo giorno della vita di un uomo malato, rafforzano il sodalizio tra me e la somma dei miei isolamenti, ma in cotanta adulazione assiomatica per la vita non scordo mai l’esistenza di un quid infinitamente superiore a tutte le gioie a me note. Le mie ultime parole non si riferiscono alle sciocchezze della spiritualità né a quelle dell’esoterismo, ma cercano vanamente di rappresentare in modo sommario una forza empirica che talvolta lambisce la mia esistenza.
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