Prova a insegnarmi qualcosa che non sono in grado di imparare cosicché io possa osservare come scuoti la testa. Apri una delle tue mani e imprimi violentemente lo stampo delle tue cinque dita sulle mie guance disabituate al contatto umano. Sparami in testa e poi partoriscimi. Creami a tua immagine e somiglianza prima che io mi uccida per ricostruirmi daccapo con le mie mani. Facciamo un passo oltre i limiti del possibile. Usa il tuo kajal per tracciare sulla mia schiena le coordinate del nostro chalet lunare. Interpretiamo le nozze di Cana e assicuriamoci che la nostra taumaturgia non si limiti alla moltiplicazione delle vettovaglie. Creiamo un totem del nostro vincolo e neghiamogli qualsiasi banalità cuoriforme. Cambiamo costantemente il nostro stato di aggregazione. Io costruisco e tu demolisci. Tu costruisci e io demolisco. Scambiamoci i sessi, le età, i ricordi e tutti gli altri orpelli che non occorrono alla nostra riconciliazione cosmogonica: invecchiamo di colpo e torniamo spermatozoi per gettare nei venti solari la ciclicità dei nostri errori. Ammutoliamo i poeti e stracciamo le loro odi. Riscriviamo i libri sacri senza usare le parole e usiamo i liquidi seminali per incollarne le pagine. Dissociamoci da ogni equilibrio e seguiamo l’andamento caotico di una creazione continua. Sappiamo che “amore” è una parola composta dalle lettere di alfabeti primitivi, ma dietro la sua forma etimologica si cela pacificamente un’energia che va al di là di qualsiasi connotazione morale. In ultima analisi decapitiamo gli stereotipi della tristezza e della sua antitesi, ma non dimentichiamoci di attendere con ansia che esplodano le parole e chi le incorpora pedissequamente nel proprio vissuto.
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