Lei si ribellò all’imprinting. Non accolse gli uomini paganti tra le sue grazie e non prese i voti: non fu una puttana né una santa. Ebbe due gemelli che accudì con spirito materno: il suo volere e la sua femminilità. Studiò e lavorò per diletto e per dovere, ma ne sentì raramente il peso poiché svolse meccanicamente le sue mansioni e usò la mente per dipingere dei fiori d’arancio. Non seppe mai il nome di suo padre, ma ne cercò i tratti nei volti dei suoi amanti. Frequentò artisti poco quotati e medici abortisti. Fino alla sua menopausa ebbe il terrore di rimanere incinta e non volle farsi ingravidare per evitare alla sua prole potenziale l’esperienza traumatica del mondo umano. Lei protesse idealmente i figli che non ebbe e cullò le sue disgrazie per placare il bisogno della maternità. Quando era triste indossava un foulard e degli occhiali neri, poi si metteva alla guida della sua vecchia Aston Martin decappottabile e sfrecciava lungo le colline indorate di un luogo rinomato. Frequentò più di un club mondano e seminò scie di Chanel che qualche bellimbusto seguì per arrivare al suo cospetto. Amò i vestiti costosi e la letteratura russa, i pettegolezzi della sua parrucchiera di fiducia e le tragedie di Euripide. Le sue mani recitarono divinamente ogniqualvolta si sottoposero alla manicure e le ragazze più giovani la osservarono sempre con riverenza per tentare di replicarne l’aplomb.
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