Credo che le conquiste della propria disciplina non siano sempre tangibili e penso che talvolta sia difficile fruirne pienamente, ma non conosco un’altra strada percorribile per aggirare le scorciatoie che portano alle forme più abominevoli del degrado umano. Sembra che la vita sfugga di mano quando la staticità degli eventi si prolunga oltre la propria soglia di sopportazione e non biasimo chi utilizza soluzioni istantanee per allentare il timore che suscita l’apatia dell’esistenza, ma io preferisco affrontare una stasi longeva piuttosto che ignorarla mentre i suoi effetti mi trapassano da parte a parte. I problemi apparenti assumono una concretezza inquietante quando vengono appoggiati nel futuro tramite i rimedi istantanei dell’autodistruzione. Non è facile tenersi in equilibrio sul vuoto e durante i periodi ricchi di ostilità sembra che ogni cosa perda il suo significato variabile, ma da questa odissea interiore è possibile trarre un impulso che traini l’esistenza oltre le difficoltà più imponenti. L’impulso a cui mi riferisco ovviamente non ha i caratteri vacui e fuorvianti di un’ideologia o di una religione, ma si tratta di una spinta concreta e io ritengo che essa sia una forza della natura. Concludo questo breve scritto trascurabile con una citazione a cui tengo molto: “Perché noi siamo liberi di fare quello che vogliamo, di uccidere, stuprare, rapinare e vomitare critiche insensate, parlare e dire solo sempre inutili cazzate, per un bisogno quotidiano di tensione, in questo sfoggio naturale di pazzia ci si può difendere innestando il modo dell’indifferenza, contro questa crescita esponenziale di follia e di violenza, o ritornare indietro all’antica pazienza”.
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