Comprai le armi dalla mia volontà e mi alleai con l’incoscienza per spodestare i miei interessi apparenti. Io e le mie azioni crivellammo legami inutili. Lanciammo razzi anticarro contro le barricate della convenienza e del quieto vivere per riprenderci la nostra libertà del cazzo. Gli occhi si illuminarono d’immenso quando facemmo saltare in aria le inibizioni. I nostri cecchini si nascosero per giorni nei palazzi vuoti e si appostarono alle finestre per sparare contro le resistenze della mia mente. Diramai l’ordine di lasciare in vita i feriti della mia parte avversa per tendere agguati più efficaci e sanguinari ai loro soccorsi. La mia disciplina guidò i suoi bombardieri sopra gli accampamenti del vittimismo e ne distrusse buona parte con due passaggi. Un giorno, dopo l’ennesima mattanza, salii le scale della mia interiorità e trovai l’ombra di mio padre: le sparai alla gambe, le sorrisi e prima di volgerle le spalle la finii con un colpo alla testa. Le mie debolezze alzarono una bandiera bianca, ma io la macchiai con il loro sangue durante le ultime schermaglie e non accettai né rese né prigionieri. Dopo la fine delle ostilità ordinai la fucilazione dei miei ricordi, ma non dimenticai il loro passaggio per evitare di ingannarmi. Presi il comando di me stesso e incominciai a ricostruire la mia personalità sopra la negatività che avevo ridotto in macerie.
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