È passata quasi una settimana dal mio ritorno in Italia, ma il mio umore non ne ha risentito. Sono sereno e un po’ entusiasta nonostante negli ultimi giorni non mi sia sia successo nulla di particolare. Conosco bene il mio benessere e la sua intermittenza non mi spaventa. Alzo pesi per alleggerire la mente e vado in bicicletta quando provo nostalgia per la pace dei sensi. Sono tutt’uno con il tempo. Mi sento forte, ma sferzo la mia personalità quando prova ad allearsi con la boria o con la supponenza. Mantengo i piedi per terra perché non voglio volare via sulle ali delle mie convinzioni. Mi processo continuamente per evitare di trarmi in inganno da solo: temo di più i tranelli dei miei limiti che gli imbrogli dei miei simili. Sono troppo giovane per immaginare ciò che mi attende prima della morte, ma spero di giungere preparato alla vigilia della mia fine e mi auguro che quest’ultima sia ancora lontana. Confido in me stesso perché non ho altre alternative al momento, ma ho una buona padronanza della mia persona e dispongo di un’ottima resistenza. Devo concedere una quota della mia esistenza alla tristezza per obblighi contrattuali e per inadempienze emotive, ma essa non mi domina né non guida le mie scelte. I rimpianti non emergono dall’immobilità del mio oceano e restano negli abissi mentre il mio slancio affettivo galleggia sotto l’occhio pessimista di una fregata sinuosa.