Oggi sono andato a piedi fino alla Seoul Tower per dare l’ultimo saluto alla capitale sudcoreana. Ho passato un periodo piacevole in questa città disordinata dove la viabilità ha lo stesso principio della roulette russa. Ho apprezzato tanto i vicoli vaporosi e pieni di luci intermittenti quanto le zone più patinate. Ho dispensato saluti e talvolta mi sono sentito come Ronald Reagan in visita ufficiale. Ci sono degli eventi che non ho annotato su queste pagine: Ho ho giocato a calcio con dei ragazzini coreani davanti al World Cup Stadium e ho assistito a una partita della K-League. Mi sono avventurato nelle campagne che cingono la città e ne ho apprezzato la quiete soleggiata. Le mie gambe mi hanno trasportato in lungo e in largo. Ho parlato e ho taciuto. Ho camminato piacevolmente per le strade rumorose di Seoul senza ambire a una destinazone per sentirmi perennemente in viaggio. I miei passi hanno lasciato impronte d’estasi. In queste settimane la tristezza e la sua antitesi sono scomparse per lasciare il posto a qualcosa di diverso a cui non sono in grado di dare un nome. Ho assimilato tutto questo e molto di più. Per me il ritorno ha la stesso fascino della partenza e per questo motivo sono entusiasta per il mio rimpatrio.
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