Ho conosciuto Patrick Goble tramite MySpace e sono rimasto incantato dalla sua versatilità. Ho scambiato alcuni pareri con lui e, nonostante non mi piaccia comprare musica online, ho acquistato su iTunes il suo album poiché l’ho trovato eccezionale. Goble è nato nel 1985 e ha imparato a suonare undici strumenti. Lo ritengo un grande talento e sono felice che la mia ricerca musicale mi abbia condotto dinanzi alla sua produzione artistica. “In God’s Eyes” è un estratto del suo album che si chiama “Big Bad World”. Una citazione del pezzo: “Better watch yourself boy, if you don’t you might fall and whatever you do in this life don’t you ever stall”.
Fotografie, ricordi e contenuti reali
Pubblicato domenica 30 Settembre 2007 alle 00:39 da FrancescoHo selezionato alcune foto che ho scattato in Corea del Sud e le ho messe online per appuntarle sopra queste pagine virtuali. Nei miei scatti ho rivisto alcuni dei momenti quotidiani della mia permanenza nel paese del calmo mattino e sono stato colto da un po’ di allegria dato che sono immune alla nostalgia. Sono in grado di evocare con più precisione certe immagini del mio viaggio grazie ai frammenti di tempo che ho immortalato mentre interpretavo il ruolo del viandante solitario. Solitamente sono piuttosto restio nel concedere spazio al passato e ritengo che alcuni momenti non possano essere inclusi nella divisione trina del tempo. Penso che i ricordi modifichino la realtà dei fatti attraverso i filtri della riflessione. Non credo che il passato possa essere traslato nel presente senza subire alterazioni e per questo motivo non credo a quanto riaffiora nella mia mente, ma cerco di assecondare il meccanismo del ricordo in modo tale che il livello di corruzione del contenuto di una memoria possa essere limitato. Il romanticismo con cui evoco i miei trascorsi coreani forse ha tonalità più grige di quelle che uso per dipingerlo a parole, ma è possibile che i suoi colori siano più accessi dei pastelli memoriali di cui dispongo. La mente è un’ingannatrice ed è paradossale che io me ne renda conto tramite lei. Forse anche le parole di questo excursus sono il risultato di un tranello delle mie facoltà, ma per adesso smetto di curarmene e pongo mente alle foto che ho pubblicato.
Le mie giornate trascorrono lentamente: leggo, scrivo, mi alleno fisicamente e ascolto molta musica. Lo spettro delle mancanze affettive mi segue ovunque, ma sopporto pazientemente la sua presenza e non mi scompongo dinanzi ai suoi effetti. Sfoglio pagine numerate, macino chilometri e riempio righe vuote per continuare a migliorarmi malgrado io non abbia un fine per farlo. Anche quest’anno sono pronto ad affrontare le mestizie imperanti dell’autunno e dell’inverno. Mi faccio largo tra i giorni con l’insistenza della mia inclinazione a vivere e affronto silenziosamente ogni inquietudine. Sono un habitué delle zone rurali e mi reco nei luoghi isolati per trovare un po’ di conforto paesaggistico. Ogni tanto penso alla mia morte e cerco di immaginare l’attimo esatto in cui la vita cessa, ma ovviamente fallisco sempre nel mio intento e mi rimprovero quando indugio troppo sulla contemplazione di questo tema. Sono una persona comune e mi appartengono di diritto gli interrogativi ancestrali che ho ereditato dalle radici del mio albero genealogico. Non sono in grado di giustificare la mia transitorietà, ma spero che sia longeva. Sono ancora giovane e devo proteggere la mia determinazione a vivere per affrontare da solo i giorni in cui conterò i miei ultimi capelli canuti. Non voglio diventare una vittima del tempo, ma voglio essere pronto e cosciente per adempiere agli obblighi improrogabili della mia natura. Continuerò a volgermi verso il miglioramento di me stesso fino a quando le mie funzioni vitali me lo consentiranno.
Due notti fa mi sono addormentato all’improvviso sopra le coperte del mio letto a causa della stanchezza che avevo accumulato con i miei esercizi fisici. Mi sono svegliato qualche ora dopo e la luce della stanza era ancora accesa, ma d’altronde solo un blackout avrebbe potuto spegnerla. In quel momento mi è sembrato di essere nuovamente un bambino e ho provato un moto di dolcezza. La scorsa notte mi sono aggirato a lungo per le vie desolate della mia cittadina e verso le cinque del mattino mi sono recato in un panificio per comprare qualcosa da mangiare. Ho acquistato un po’ di pizza e qualche dolce che ho addentato nei pressi di un giardino pubblico. Durante il mio pasto eremitico ho immaginato di essere un animale in cattività che divora la sua preda, ma forse mi sarei avvicinato di più alla realtà se avessi raffigurato me stesso come un uomo che riesce solo ad approvvigionare il suo riflesso. Farcisco le ore piccole con eventi di poco conto perché non ho di meglio a mia disposizione e cerco di farmi bastare ciò che riesco a raccogliere dalla mia capacità di provare emozioni. La mia veglia notturna non ha i colori né i rumori de “La Dolce Vita”, ma assomiglia a una lunga marcia introspettiva. Quando cammino da solo i miei pensieri si accavallano e talvolta il loro peso rallenta il mio incedere, ma non accetto che qualcosa di intangibile mi schiacci e mi oppongo fermamente a quella di parte di me che cerca una forma abietta di conforto nella contemplazione della tristezza. La mia polarità è positiva.
Seoul: Agosto e Settembre 2007 – Prima Parte
Pubblicato giovedì 27 Settembre 2007 alle 01:21 da FrancescoQuesta è la prima parte del video che ho girato in Corea del Sud: dura ventisette minuti. Sono soddisfatto del risultato anche se non è professionale. Mi sono divertito a scegliere le sequenze da montare per creare questo compendio filmato e ho riguardato con piacere i luoghi in cui sono stato. Devo ancora iniziare a lavorare sulla seconda parte, ma spero che compaia presto su queste pagine virtuali.
Il cuore della notte smette di battere e la coscienza si spoglia di ogni giustificazione. La propria identità si rivela chiaramente accanto a una luce fioca o nell’uniformità del buio. Qualsiasi stratagemma consolatorio cade e gli occhi sono costretti a vedere tutte le cose davanti alle quali si sono sottratti in un primo tempo. Il sapore delle proprie decisioni cambia radicalmente e ogni sofisma perde i suoi effetti ansiolitici. Il responsabile di se stesso nota su ogni atomo il riflesso delle motivazioni reali che lo hanno portato a compiere determinate scelte. Ogni scusa artificiosa volge le spalle al suo creatore e non proferisce parola. Bastano otto ore di sonno per tornare a credere fermamente nelle proprie menzogne, ma nulla può cancellare le confessioni silenziose della personalità. La realtà individuale viene alterata al di sopra del bene o al di sotto del male in modo che diventi sopportabile per il suo proprietario, ma questa contraffazione morale può essere evitata e qualora il coraggio abbondi lo si può usare come propellente per spingersi nella ricerca spasmodica di un brandello di oggettività. Non è semplice proiettarsi verso qualcosa che non offre una ricompensa e la sofferenza di questo processo sembra tanto insensata quanto intollerabile, ma credo che la possibilità di addolorarsi o di adorare autenticamente sia una delle più grandi conquiste interiori a cui l’essere umano possa ambire. Le religioni e le ideologie sono le caricature delle loro promesse, ma non bado a chi mette le carote davanti agli asini e procedo sulla linea del tempo senza frapporre tra me e la mia fine delle utopie antropomorfiche.
Lo scorso pomeriggio ho visto il secondo capitolo della trilogia dei colori di Krzysztof Kie?lowski. Il film inizia in Francia, ma dopo l’introduzione dei personaggi principali si sposta in Polonia. Il protagonista è un parrucchiere polacco di nome Karol che si trova in Francia per amore, ma presto sua moglie Dominique, interpretata da una strepitosa Julie Delpy, lo lascia e a seguito di questo abbandono lui cade in disgrazia. Le sequenze della separazione tra Karol e la sua consorte mi sono sembrate ricche di pathos. Quando il parossismo svanisce dalle scene iniziali un nuovo personaggio di nome Mikolaj compare nella storia e contribuisce a mantenere costante il ritmo dello svolgimento dei fatti. Si avvicendano situazioni grottesche e scene quotidiane nel corso del film e credo che il finale pirandelliano sia stupefacente. Mi sembra che in “Tre Colori: Film Bianco” la regia indugi meno sui dettagli rispetto al primo episodio di questa trilogia dei colori, ma penso che riesca a mantenere inalterata l’efficienza narrativa della fotografia. Trovo che sia straordinario il modo in cui certi aspetti ordinari dell’umanità possano essere descritti senza procedure prevedibili e senza forzature per evitarle. Anche in questa occasione Julie Delpy mi è sembrata eccezionale per la sua espressività e ormai posso considerarla la mia attrice preferita dato che ho avuto il piacere di apprezzarla moltissimo in altre opere: “Prima dell’Alba”, “Prima del Tramonto” e “Delitto & Castigo”. Inoltre ho guardato con entusiasmo anche il suo cameo animato in “Waking Life”.
Sono entrato in contatto con M. sei anni fa, ma non ho mai approfondito la sua conoscenza. Non sono mai stato molto gentile con lei, ma il mio atteggiamento spocchioso non ha pregiudicato la longevità delle nostre chiacchiere saltuarie. Mi chiedo se M. grazie al suo istinto femminile sapesse sin dall’inizio che sarei diventato una persona diametralmente opposta al ragazzo misogino che ero qualche anno fa e di conseguenza mi domando se lei non abbia mai badato alle mie cattiverie verbali per via della sua lungimiranza o se abbia mantenuto un po’ di interesse nei miei confronti per una semplice coincidenza. M. è una bella ragazza, ma non ho mai riscontrato in lei un background umanistico e probabilmente è per questo motivo che non ne sono mai stato attratto. Sembra che io riesca ad apprezzare solo chi ha frequentato il liceo classico nonostante i miei studi siano stati di tutt’altro genere. Fino a oggi ho commesso un errore madornale perché ho creduto che lo studio delle materie umanistiche facilitasse il dialogo tra le persone, ma ho avuto la prova che le capacità comunicative di un individuo non sono misurabili con la sua conoscenza classica. Forse desidero inconsciamente una professoressa di lettere invece che una ragazza ed è probabile che i miei ormoni preferiscano scrivere temi piuttosto che svolgere le loro funzioni: un po’ come gli eterni laureandi. La ricchezza lessicale non garantisce necessariamente un patrimonio di concetti e negli ultimi mesi ho avuto la conferma che una buona dialettica è destinata a cadere su se stessa qualora non sia sorretta da una personalità forte. In più occasioni ho sminuto le parole e ne ho negato la valenza, ma la mia circospezione non mi ha salvato dai loro inganni. Con il senno di poi posso affermare che avrei dovuto dare a M. la possibilità di farsi conoscere e parimenti avrei dovuto dare a me stesso la possibilità di farmi conoscere da lei. M. è un corpo celeste che orbita lontano da me e forse è la distanza tra i nostri mondi che continua a salvaguardare dopo sei anni i nostri contatti occasionali.
Giornate identiche ad altezze diverse
Pubblicato domenica 23 Settembre 2007 alle 04:31 da FrancescoIeri pomeriggio sono andato un’altra volta al Monte Argentario in bicicletta e oltre alla solita bottiglia d’acqua mi sono portato dietro un libro. Ho trascorso il pomeriggio nella stessa radura nella quale mi sono fermato due giorni fa. Mi sono accomodato sopra una roccia e ho incrociato le gambe, subito dopo mi sono levato la t-shirt e ho estratto dal mio zaino “L’evoluzione Creatrice” di Bergson. Sono stato sotto il sole per un paio d’ore e di tanto in tanto ho interrotto la lettura per per guardare in lontananza le scie dei natanti sulle chiazze acquatiche. Penso che sia difficile descrivere certi panorami e credo che l’impresa sia ancora più ardua per chi arricchisce certi scenari con lo sforzo fisico a cui si sottopone per raggiungere il punto di osservazione dal quale contemplarli. Comunque credo che io debba smettere di giocare all’asceta. Non ho intenzione di passare i prossimi mesi in un continuo andirivieni tra la mia stanza e il Monte Argentario, ma vorrei trascorrere qualche altro pomeriggio a un’altitudine diversa da quella a cui la mia monotonia si è assuefatta. Il contatto con la natura sminuisce adeguatamente il mio Ego e riesce a ricamarmi addosso pezzi d’armonia. Concludo con un excursus che riguarda Henri Bergson. Ne “L’evoluzione Creatrice” vengono presentati due tipi di ordine e il disordine viene definito come l’assenza dell’ordine desiderato: la mancanza d’ordine viene negata. Questo passaggio mi ha colpito per la sua forza e se l’avessi letto dieci anni fa avrei potuto usarlo per incantare mia madre con una giustificazione filosofica con cui legittimare l’asimmetria che a quel tempo regnava nella mia stanza. È un peccato che oggi io sia un ragazzo ordinato, ma almeno mi è rimasta la verginità.