12
Ago

L’arco

Pubblicato domenica 12 Agosto 2007 alle 20:53 da Francesco

È da molto tempo che non annoto qualche impressione sulle mie visioni cinematografiche. Ieri mattina ho visto “L’arco”, un film di Kim Ki-Duk. Tutta la storia si svolge su una barca che si trova a largo di Seoul. Il natante appartiene a un vecchio uomo che lo divide con una ragazzina da dieci anni: quando lui l’ha trovata lei aveva sei anni e l’ha portata a vivere con sé. Il film è caratterizzato da molti silenzi, i dialoghi sono rari ed essenziali, ma le immagini parlano da sole. L’anziano per guadagnarsi da vivere offre la sua barca ai pescatori che lui stesso va a prendere e riporta a terra con un’imbarcazione più piccola. La ragazzina ha un viso molto espressivo e innocente. Il vecchio possiede un arco che usa nei modi più disparati e uno di questi è una strana divinazione che a me è parsa molto poetica. Quando qualcuno chiede al vecchio di leggergli il futuro la ragazzina si accomoda su un’altalena che rasenta l’acqua, lui invece si posiziona sull’imbarcazione minore e scocca le frecce sul fianco della barca sul quale è rappresentato un Buddha mentre lei dondola sorridendo. Trovo che “L’arco” sia un capolavoro di immagini e sentimenti conflittuali. Prima di questo film non avevo mai avuto modo di saggiare lo stile di Kim Ki-Duk e mi riprometto di guardare altre delle sue pellicole perché la solennità delle sue riprese mi ha coinvolto profondamente.

L'arco

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12
Ago

Tre giorni prima

Pubblicato domenica 12 Agosto 2007 alle 01:12 da Francesco

Mancano tre giorni alla mia partenza. Non ho ancora preparato la valigia, ma la mia mente è già pronta. Mi attende un viaggio lungo e intenso. Ogni tanto mi guardo allo specchio e mi sento un apolide. A me piacciono le grandi distanze e la destinazione non mi interessa più di tanto. Adoro il movimento che mi esula da qualsiasi scopo perché mi consente di percepire la normalità senza filtrarla con le mie intenzioni. Quando mi allontano da casa cerco di sentirmi un po’ clandestino per entusiasmarmi facilmente e spesso ci riesco. Mi sentirò un’altra persona quando un timbro coreano colpirà il mio passaporto: poco dopo il tempo inizierà a dilatarsi. I giorni si ingrandiranno velocemente e presto assomiglieranno a secoli di evoluzione. Mi sembrerà di vivere una seconda vita in un altro continente e mi sentirò parte di qualcosa che non mi appartiene. Il mio volto assumerà espressioni rare, i miei sensi accoglieranno percezioni irripetibili che non riuscirò a descrivere e l’ordinario rimarrà tale, ma assumerà una forma diversa. Avrò uno zainetto sulle spalle e una strana inclinazione nel cuore. Camminerò sotto l’ala protettrice della solitudine, ma non mi sentirò solo perché avvertirò costantemente lo sguardo severo della felicità. Attraverserò strade di cui non saprò mai il nome per raggiungere destinazioni casuali su consiglio dell’intuito. La mia vista incenserà il fascino delle imperatrici con reverenza e distacco.

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11
Ago

Autodeterminazione

Pubblicato sabato 11 Agosto 2007 alle 01:02 da Francesco

Non lascio che l’aspetto minaccioso della vita mi inganni e non sono disposto a deporre il mio respiro. Rivendico ancora una volta il mio cazzo di diritto a vivere. Prendo sempre la sofferenza di petto anche se mi faccio male e ogni volta corro il rischio di cadere in un baratro senza fine. La mia forza di volontà è così grande che sfugge al mio controllo. Non ho speranze a cui aggrapparmi né voci amiche da ascoltare, ma combatto da solo sulle alture della realtà perché non amo i rifugi onirici. I miei fallimenti vogliono farmi diventare un cinico e un pezzo di merda, ma non ci riescono perché conosco i loro trucchi. I miei sentimenti sono immacolati e splendono ancora come il giorno in cui li ho ricevuti in dono dalla mia ragione. Qualsiasi dolore che provo non fa che ingigantire la mia capacità di amare e mi stimola ad andare avanti. Quando supero un brutto momento mi faccio una tacca sull’anima e dopo un pianto catartico ci verso qualche lacrima notturna per impregnarla di valore emotivo. Le proposte di un paradiso futuro le brucio nell’indifferenza e rinnego ogni dottrina che vuole strapparmi comodamente dalla lotta contro il malessere. So di cosa ho bisogno e so anche che non mi spetta di diritto, ma non ci rinuncio e continuo la mia corsa contro il tempo. Ho sopportato anni di isolamento, ho ascoltato i rifiuti delle regine, sono stato rinnegato e dimenticato, ma la cosa peggiore che mi sia successa è stata la compassione saltuaria che ho provato per me stesso. Ho superato momenti di parossismo indicibile senza l’ausilio di nulla e nessuno. La mia schiena è ancora intatta nonostante le delusioni abbiano tentato di frantumarla. Vaffanculo, io sono vivo perché sono in grado di amare.

My back

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10
Ago

Gary Moore – Empty Rooms

Pubblicato venerdì 10 Agosto 2007 alle 20:05 da Francesco

Quando sono molto abbattuto guardo questo vecchio video di Gary Moore e mi sento un po’ meglio. Penso che nessuno abbia mai espresso tanto chiaramente e semplicemente cosa si prova nelle stanze vuote dove si impara a vivere senza amore. In questo pezzo trasuda una sensibilità maestosa e sincera. È incredibile come nove parole riescano a spiegare una delle sensazioni più lancinanti dell’animo.

“Empty rooms, where we learn to live without love”.

Quanto è vero?

“You hope that she will change her mind
But the days drift on and on
You’ll never know the reason why she’s gone”.

È verissimo.

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10
Ago

Un diadema di drammi

Pubblicato venerdì 10 Agosto 2007 alle 02:21 da Francesco

Si trovava dinanzi alle porte dell’ennesima notte senza senso in una metropoli dal nome trascurabile. Portava sempre con sé delle velleità nichilistiche che tentava di incollare sopra ogni sua azione. Possedeva una buona cultura, ma le esperienze negative della vita lo avevano educato alla morte dello spirito. Come ogni notte le tenebre conferivano un’aria spettrale al grigiore della città e orchestravano cupamente i lamenti garbati delle anime insonni. Fabien vagava senza meta lungo le arterie urbane, tra i rifiuti pigri, le luci esauste e le angosce amorfe. I palazzi ostentavano virilmente l’indifferenza dei loro inquilini e non osavano venire meno al ruolo di oppressori architettonici. D’un tratto Fabien si precipitò verso il parapetto di un ponte e per qualche istante pensò di gettare i suoi trentasette anni nel vuoto, ma si arrestò quasi subito perché sapeva che la sua morte avrebbe generato solo delle pratiche burocratiche e non quel sentimento di compassione che da tempo aveva assunto le fattezze di un’utopia finale. Se in quel momento almeno una persona lo avesse amato probabilmente si sarebbe lanciato nell’acqua turpe di gennaio per lasciare una firma indelebile nella memoria di un suo simile. Appoggiò la schiena al parapetto, chiuse gli occhi e aprì i cancelli a quelle nostalgie che sono comuni a tutti gli uomini. Dopo alcuni minuti di reminiscenze iniziò ad avvertire i moti della frustrazione e per attenuare l’emorragia del suo pneuma lanciò un grido acuto, ma il suo sfogo plenilunare non riuscì a scuotere nemmeno una foglia morente e il suo latrato umano si perse davanti alla circospezione di un gatto randagio. Non c’era un solo pensiero anestetizzante che fosse disposto a paracadutarsi sulla sua mente. Fabien riprese il vagabondaggio in mezzo alle ombre degli idrocarburi e alle scorie della solitudine. Si sentiva oppresso da quella cella agorafobica, non gli importava un cazzo dei sorrisi vacui che aveva collezionato nelle ultime tre decadi e passo dopo passo gli restava soltanto un altro passo da fare. All’improvviso si accasciò volontariamente e appena raggiunto il suolo iniziò a strusciare la guancia destra sul marciapiede, poi aprì le mani e le sue palme cominciarono a scambiare il cemento per il seno di una donna. La follia voluttuosa fu breve e la strada non oppose resistenza. Dopo il coito immaginario Fabien assunse una posizione fetale e restò immobile per alcuni minuti in quell’incubatrice a cielo aperto. I fari indifferenti di una vecchia Volkswagen lo convinsero ad alzarsi. Con estrema dignità ripose sulla fronte il diadema intarsiato di drammi e mosse i primi passi verso la sua ultima destinazione. Camminava mestamente, i fianchi flaccidi oscillavano tra il serio e il faceto, la bocca non si serrava mai e le braccia pendevano come quelle di un impiccato. Dopo pochi metri di marcia la testa di Fabien iniziò a girare vorticosamente ed egli fu costretto d accettare l’aiuto di una panchina tatuata dalle infatuazioni adolescenziali. Si tolse il giubbotto e allentò la cintura dei pantaloni, poi fece un respiro profondo e con le dita iniziò a massaggiare le tempie. Alzò il capo verso la luna e dalle zone più recondite del passato emerse la figura aulica di sua madre. Fabien tese il braccio destro verso quell’allucinazione familiare e con voce gutturale disse: “Mamma, prega per me tu che hai un dio”. Chiuse gli occhi e la presenza illusoria della genitrice evaporò di fronte alla sua instabilità mentale. L’ipotermia si introdusse silenziosamente nel suo soliloquio e gli restò accanto fino all’ultimo respiro. Dalla finestra di un palazzo vittoriano un uomo distinto assisteva con severità alla lenta agonia di Fabien: la sua mano destra stringeva con forza un cellulare e la sinistra avviluppava con altrettanta energia la maniglia di una porta. Costui non chiamò un’ambulanza, non chiamò una volante, ma iniziò a piangere e il dolore paterno frammisto alla rassegnazione travolse i suoi sessantacinque anni. Un uomo perdeva la vita, un altro la immolava alla sofferenza. Lo scandalo e le condoglianze si preparavano ad assumere forme orali e floreali, mentre l’ennesima lezione di una tragedia umana si accingeva ad abbracciare l’indifferenza e l’incomprensione dei velocisti di ogni giorno.

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9
Ago

Il carme degli stolti

Pubblicato giovedì 9 Agosto 2007 alle 04:14 da Francesco

Mi osservi di nascosto perché l’orgoglio non può sporgersi più di tanto. Le parole che non ci doniamo a vicenda restano appese al silenzio. Nessuno di noi compie il primo passo perché entrambi crediamo che possa essere l’ultimo e attendiamo vigliaccamente che il tempo calmi le acque per affogare nell’indifferenza. Siamo muti e distanti, ma in realtà vorremmo leggere il nostro labiale a occhi chiusi. I nostri pensieri viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda e non abbiamo potere su di loro né sulle loro evoluzioni acrobatiche. Fingiamo che il nostro regno sia un castello di carte, ma in realtà non è mai apparso nulla di più adamantino delle nostre incertezze simbiotiche. Un triangolo con un punto interrogativo per ogni vertice rappresenta la perfezione della nostra stupidità. Non vogliamo che la somma dei nostri giorni giaccia nel nulla, ma non muoviamo un dito per accarezzare il pensiero di tornare in auge. L’entusiasmo è evaso e il risentimento ci ha preso in ostaggio. Siamo le parti mancanti di un problema reciproco, ma non riusciamo a capirlo e ci ostiniamo a patire. Ingrandiamo le nostre delusioni perché sono l’ultimo ostacolo che si frappone tra noi e qualcosa che non ha nome né forma. Abbiamo ascoltato la cattiva consulenza dell’impulsività e abbiamo rifiutato un processo equo. Un errore ci ha giustiziato e poi è scomparso insieme alla causa della nostra morte. Cucirò un monogramma sulla mia aorta se torneremo a vivere e sarà una elle: la elle di Lazzaro.

Foto di fotografisch.at

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9
Ago

Se avessi una malattia terminale

Pubblicato giovedì 9 Agosto 2007 alle 00:45 da Francesco

Certo volte provo a immaginare di essere ammalato gravemente per esorcizzare la paura di questa eventualità. Mi vedo inchiodato su un letto ospedaliero in una stanza piccola e opprimente. Un tumore ambizioso vive dentro di me e ogni giorno espande il suo dominio metastatico. Il mio sguardo fugge dal soffitto bianco e si perde nel vuoto. I dolori e gli spasmi mi torturano ogni volta che riesco a prendere sonno. Il mio organismo è debole e le mie difese immunitarie sono come delle trincee vuote sul confine che divide la vita dalla morte. Vomito sangue e quando mangio non riesco a riconoscere il sapore del cibo. Il tumore vive dentro di me o sono io il suo ospite indesiderato? Le infermiere si augurano che io tiri le cuoia al più presto e mi trattano con la stessa freddezza che appartiene alla ringhiera del mio letto. Sudo freddo e non sento più le forze. Sono quasi un vegetale e la lucidità diminuisce giorno dopo giorno. I farmaci mi stordiscono. Non ce la faccio nemmeno a guardare la televisione, ma le allucinazioni e gli incubi riescono a sostituirla egregiamente. Il mio male è incurabile e il trattamento terapeutico mi consente soltanto di soffrire più a lungo. Non sono mai riuscito a vivere e riesco a malapena a crepare. Durante l’orario delle visite spero sempre che la morte apra la porta della mia stanza con un mazzo di fiori appassiti, ma ogni volta resta chiusa e nessuno tocca la maniglia. Il tumore consuma ogni parte di me. Ho un aspetto scheletrico e fatico a respirare, ma la fine è vicina e non voglio perderla. Con amore, Francesco.

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8
Ago

Persuasioni noiose

Pubblicato mercoledì 8 Agosto 2007 alle 03:55 da Francesco

Mi sembra che la ricerca di qualcosa per cui indignarsi sia un hobby piuttosto diffuso. Ogni giorno molte idee si scontrano in battaglie sterili per l’interesse personale dei loro fautori. Non mi lascio trascinare seriamente nei dibattiti di alcun tipo e cedo volentieri lo scettro della certezza a chi lo richiede. Le opinioni spesso non valgono un cazzo e le mie parole ne sono la dimostrazione leggibile. Si può disquisire all’infinito su certe tematiche, ma spesso non si genera altro che un discorso fine a se stesso a cui ne segue uno identico. Sorrido di fronte alla pretesa di ricavare qualche verità da uno scambio di opinioni che poggia sull’autocompiacimento. Mi sembra che le ugole spesso intonino il motivo della protervia con un coro di convinzioni inestirpabili. Trovo che una diatriba di questo genere possa essere simpatica qualora abbia semplicemente uno scopo ludico, ma credo che si copra di ridicolo nel caso voglia assumere una valenza didattica. Il vociare degli opinionisti di qualunque risma è un gioco da adulti che si tiene durante la ricreazione e quand’essa termina le lezioni della vita lo tolgono di mezzo per fare spazio alla concretezza degli avvenimenti. Immagino che il confronto di idee sia un ottimo strumento per coloro che lo sanno usare, ma non di rado assomiglia al vaso di Pandora in mano a un bambino curioso. Di fronte alla boria e all’esaltazione degli oratori, sia che presiedano il tavolino di un bar di provincia o che gesticolino in mondovisione, sfoggio la dovuta indifferenza su suggerimento della noia oppure accompagno una bestemmia al classico “vaffanculo”. Provo stima per coloro che sanno confrontarsi in modo costruttivo, e con ciò non intendo dire che costoro siano esenti dalla venuta di momenti infecondi, e mi annoia chi cerca palesemente la vanagloria per il suo Ego nel corso delle sue argomentazioni.

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7
Ago

Ancora una volta sul concetto d’amore

Pubblicato martedì 7 Agosto 2007 alle 05:38 da Francesco

Ritengo che l’amore sia la più grande costruzione informe che il genere umano possa edificare nella sfera dei sentimenti, ma talvolta alla base di questo ambizioso progetto della sensibilità si trovano dei presupposti errati. Mi sembra che molte persone siano così ossessionate dal desiderio dell’amore che spesso e volentieri giungono a negarne l’esistenza per usufruire con più tranquillità dei suoi surrogati. Non ho mai avuto rapporti di sorta, men che meno una relazione amorosa, tuttavia non ho mai trasformato in ossessione la mia brama affettiva per evitare di distruggerne le fondamenta. Credo che il concetto d’amore non sia facile da gestire quando resta a lungo una semplice idea e non nego che talvolta il tempo lo faccia assomigliare a un’utopia, ma trovo che la tenacia di chi si ostina a vedere la realtà anche nei momenti di sofferenza sia la discriminante che consente a taluni di amare e impedisce ad altri di fare altrettanto. Ho l’impressione che esista una selezione naturale del bene che dia ad alcune persone la possibilità di amare, ma penso che vada presa come tale e ritengo che sia importante capire che c’è un ulteriore passo da compiere tra questa possibilità e la sua applicazione nella vita quotidiana. In altre parole chi è capace d’amare non ha la certezza di incorrere nelle condizioni per farlo e penso che l’accettazione di questa evenienza possa evitare molti turbamenti a chi si intristisce dinanzi al suo vuoto affettivo. L’amore purtroppo è stato sequestrato dalle fedi religiose che ne rivendicano falsamente l’archetipo, si è perso nel nichilismo calmante di coloro che non sanno soffrire oppure è ridotto all’osso da chi lo interpreta per renderlo un concetto di consumo. Per me è fondamentale che l’amore non abbia connotazioni melense e che il suo significato più profondo non sia attribuito all’ingenuità perché non sono disposto a barattare la realtà per un po’ di quiete interiore.

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6
Ago

La tendenza a vivere

Pubblicato lunedì 6 Agosto 2007 alle 17:38 da Francesco

Non c’è nessuno dietro le mie spalle né davanti ai miei occhi. Mi sento libero in un mondo senza tempo. Ogni cosa assume un’altra tonalità quando la solitudine mi mostra il suo lato romantico. Non temo l’ignoto che si staglia sopra miei giorni e non ho bisogno di risposte che mi consolino. Non cerco conferme e non mi servono certezze quadrate da appendere sulle pareti del futuro. Ho una matita per disegnare sorrisi sui volti delle persone e spero di imparare a usarla prima o poi. Accetto i miei limiti con lo stesso amore con cui una madre accetta un figlio Down, ma quotidianamente mi propongo di superarli per evitare che lo sconforto mi confini nella sua staticità. Le cazzate che mi circondano non riescono a distrarmi dal fascino dell’esistenza. Quando dialogo con me stesso le parole perdono ogni significato e scivolano lungo la mia strana felicità. Chiunque può spacciarmi le sue verità tanto non le assumo come tali perché non sono un tossico né un giovane timorato. I giudizi e le frasi impulsive rotolano sulla dorsale dell’emotività e si arrestano soltanto di fronte alla consapevolezza della loro inutilità. La malinconia può sedurre la mente con estrema facilità, ma trovo che sia banale e tremendamente kitsch. Il travaglio interiore non è una necessità, ma ha la forma di un vizio inveterato che fortunatamente non mi appartiene. Non sono il figlio del destino. Sono un orfano solitario che sorride anche quando non c’è un cazzo da ridere. Adoro la vita e sono contento che gli anni si limitino a imbiancarla invece di sbiadirla.

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