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Ago

Cronache sudcoreane

Pubblicato martedì 21 Agosto 2007 alle 03:30 da Francesco

Cammino silenziosamente nel frastuono urbano. Osservo le moto cariche di merci che passano sopra i marciapiedi, scambio sguardi casti con le mie coetanee asiatiche, inalo il fetore degli angoli più degradati di questa metropoli malsana mentre un euntusiasmo profondo circonda ogni mio passo. Passeggio sotto il sole, ma rifletto davanti all’apertura alare della solitudine e mi lascio avvolgere dalla bellezza sconfinata del senso di vuoto. Quando la frenesia moltiplica il suono di un clacson le voci convinte dei venditori ambulanti passano in secondo piano. Qualcuno legge il futuro per pochi won e qualcun altro cerca di costruirselo con un lavoro umile. Ogni tanto una tuta mimetica spunta tra la folla e spesso appartiene a qualche giovane militare: in caso di necessità è facile trovare una bandiera da agitare. Potrei vivere a Seoul solo per amore di una donna o per odio nei confronti di un ambiente salubre. Come al solito la lontananza dall’Italia mi fa apprezzare l’importanza del silenzio non come gesto velleitario di saggezza, ma come alternativa economica ai rumori gutturali che qualcuno spaccia per discorsi importanti. Tante frasi nella mia lingua madre non riesco a vederle né a sentirle quando sono composte da parole amorfe prive di contenuto e forse è per questo motivo che non ho problemi con il coreano anche se non lo conosco. Le chiacchiere sono troie che assecondano la dialettica più forte, invece i fatti sono giudici imparziali e adesso mi trovo al loro cospetto sul banco degli imputati per rispondere del reato di felicitá insensata.

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