Finalmente ho scovato un posto per connettermi. In questo momento mi trovo vicino al World Cup Stadium. Il viaggio è andato bene, anche se il secondo volo, quello da Parigi a Seoul, è partito con quaranta minuti di ritardo. Ho impiegato molto per trovare il mio albergo, ma dopo alcune ore e svariati chilometri sono giunto a destinazione. Prima di mettere piede nel mio hotel mi sono avventurato a lungo per le strade di Seoul e il primo impatto con la capitale coreana è stato piuttosto forte. La città è compenetrata da odori nauseabondi che scuotono l’anima, molti palazzi sono fatiscenti e sembrano in procinto di abbandonare la loro stabilità . La ruggine screzia l’agonia architettonica di questa megalopoli asiatica. Ogni via è popolata da chioschi improvvisati che offrono pietanze di ogni tipo in condizioni igieniche piuttosto inquietanti. La gente mi sembra un po’ incuoriosita e un po’ diffidente nei confronti degli occidentali. Seoul assomiglia a Tokyo, ma ha meno ordine e appariscenza della capitale nipponica. Le persone vendono di tutto e talvota mettono sulle bancarelle prodotti che non riuscirebbero a dare via neanche se fossero loro a pagare gli acquirenti. L’altro ieri una ragazza mi ha offerto un drink analcolico per promuovere una nuova attività e due giovani coreane mi hanno servito con evidente imbarazzo quando sono entrato nella loro pasticceria per comprare qualcosa da mangiare. Una bambina mi ha salutato spontaneamente con un timido “hello” e io le ho risposto con un sorriso. Ho incontrato alcuni occidentali con i quali ho scambiato brevi saluti anglofoni. Nella metropolitana ho scambiato qualche parola in inglese con un coreano grasoccio che indossava una maglietta dei Cypress Hill e sorseggiava un frullato abbondante.