Mancano tre giorni alla mia partenza. Non ho ancora preparato la valigia, ma la mia mente è già pronta. Mi attende un viaggio lungo e intenso. Ogni tanto mi guardo allo specchio e mi sento un apolide. A me piacciono le grandi distanze e la destinazione non mi interessa più di tanto. Adoro il movimento che mi esula da qualsiasi scopo perché mi consente di percepire la normalità senza filtrarla con le mie intenzioni. Quando mi allontano da casa cerco di sentirmi un po’ clandestino per entusiasmarmi facilmente e spesso ci riesco. Mi sentirò un’altra persona quando un timbro coreano colpirà il mio passaporto: poco dopo il tempo inizierà a dilatarsi. I giorni si ingrandiranno velocemente e presto assomiglieranno a secoli di evoluzione. Mi sembrerà di vivere una seconda vita in un altro continente e mi sentirò parte di qualcosa che non mi appartiene. Il mio volto assumerà espressioni rare, i miei sensi accoglieranno percezioni irripetibili che non riuscirò a descrivere e l’ordinario rimarrà tale, ma assumerà una forma diversa. Avrò uno zainetto sulle spalle e una strana inclinazione nel cuore. Camminerò sotto l’ala protettrice della solitudine, ma non mi sentirò solo perché avvertirò costantemente lo sguardo severo della felicità . Attraverserò strade di cui non saprò mai il nome per raggiungere destinazioni casuali su consiglio dell’intuito. La mia vista incenserà il fascino delle imperatrici con reverenza e distacco.