Pubblicato venerdì 31 Agosto 2007 alle 16:15 da
Francesco
Oggi ho mangiato in una pizzeria coreana che non appartiene a nessuna catena statunitense e ho pranzato con il proprietario. Abbiamo parlato della sua nazione, della mia vita e dei miei viaggi. Costui vende pizza da dieci anni, ma ultimamente il volume dei suoi affari si è ridotto a causa dei molti concorrenti. Quando gli ho rivelato la mia età sono stato felice del suo commento: “You’re very young”. Dopo alcune chiacchiere calcistiche e gastronomiche mi ha detto qualcosa che ho deciso di assumere poeticamente come la profezia di uomo saggio dell’Estremo Oriente: “You’re a kind man and you’ll succeed in your life”. Non importa che queste parole trovino conferma nel futuro perché in ogni caso ne conserverò il suono. Prima di andarmene ho scattato una foto al mio interlocutore e poi l’ho salutato con una stretta di mano.
Ho passato il pomeriggio in un negozio di musica e per un prezzo abbastanza buono mi sono portato via sette album di vario genere: Kiko Loureiro, Weather Report, Marcus Miller, Marduk, Arch Enemy e Marty Friedman. Mi sono sentito come un bambino nel paese dei balocchi mentre sceglievo con attenzione cosa aggiungere alla mia collezione di dischi.
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Pubblicato mercoledì 29 Agosto 2007 alle 10:38 da
Francesco
Da piccolo giocavo con i soldatini e veneravo la Wehrmacht. In seguito ho passato molti pomeriggi davanti ai videogiochi per simulare conflitti bellici di ogni tipo. Forse non ho mai fatto l’amore perché ho sempre tentato di fare la guerra, ma solo un hippie di vecchia data può confermarmelo.
Chissà se l’esercito sudcoreano ha un posto per me.
Sono pronto per entrare a Pyongyang: let’s go.
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Pubblicato martedì 28 Agosto 2007 alle 14:52 da
Francesco
Oggi ho vissuto una giornata piuttosto insolita. Stamane ho lasciato il mio hotel verso le dieci e mi sono recato a Jamsil per visitare le attrazioni del Lotte World. Ho mangiato un hamburger di fronte a una pista di pattinaggio su ghiaccio e poi ho osservato le vetrine dei negozi. Quando ero sul punto di uscire dal Lotte World per seguire il mio istinto urbano un ragazzo mi ha fermato e mi ha mostrato un questionario sulla religione. Ho incominciato a parlare con questo tizio e appena gli ho detto la mia nazionalità mi ha guardato con stupore dato che lui studia l’italiano e qualche mese fa ha visitato Roma. La nostra chiacchierata si è protratta per un po’ e alla fine mi ha proposto di seguirlo per farmi visitare la sua chiesa: ho accettato, ma prima di farlo ho chiarito subito la mia indole atea e iconoclasta. Siamo usciti da Jamsil e siamo saliti sul suo scooter. Appena siamo partiti ho tirato fuori la mia videocamera e ho filmato buona parte del nostro percorso. Mi sono sentito un reporter d’assalto mentre riprendevo le vie di Seoul a bordo di uno scooter che passava continuamente dalla strada al marciapiede. Abbiamo impiegato un po’ per arrivare a destinazione e prima di entrare nella chiesa ci siamo levati le scarpe. Issac, il ragazzo che ho incontratto al Lotte World, mi ha presentato ai suoi amici e a suo fratello. Abbiamo parlato per mezz’ora e poi siamo andati a pranzo. Ho mangiato seduto per terra e non ho avuto problemi con il cibo coreano dato che il mio palato si è abituato al suo gusto. Tra una portata e l’altra ho parlato in inglese con Issac e con un suo amico. Dopo pranzo è arrivata una sudcoreana che studia in Italia e abbiamo iniziato a discorrere di religione. Ho contestato educatamente ogni loro asserzione e ho riportato alcuni fatti di storia del novecento che avevano tralasciato mentre mi presentavano il loro culto. La loro religione si chiama “Chiesa di Dio” ed è basata su una figura materna che emerge da una lettura della Bibba e che non corrisponde alla figura di Maria che compare sovente nel cattolicesimo. Il loro credo è piuttosto famoso in Corea del Sud, ma si trova anche in altre zone del mondo. Non è stato facile dissertare di teologia in inglese, anche se ho scambiato qualche parola nella mia lingua madre con la studentessa d’italiano. La nostra conversazione è durata circa tre ore e alla fine i miei interlocutori mi hanno chiesto di battezzarmi secondo il loro rito che a quanto dicono differisce da quello cattolico. Ovviamente ho evitato di farmi bagnare il capo e ho declinato la loro offerta nonostante gli astanti abbiano insisto più volte per salvare la mia anima. Quando si sono arresi mi hanno sorriso e mi hanno chiesto un appuntamento per parlare di nuovo. Prima di andare via ho salutato i presenti e poi Issac mi ha accompagnato con il suo scooter fino alla stazione della metropolitana che si trova vicino alla sua abitazione: anche durante questo secondo tragitto ho fatto qualche ripresa serale. È stata una giornata intensa e bizzarra in cui ho messo alla prova per l’ennesima volta il mio amore per l’estemporaneità e ho salvaguardato il mio atesimo. Ho raccolto molto materiale per il mio video e non vedo l’ora di montarlo.
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Pubblicato sabato 25 Agosto 2007 alle 11:44 da
Francesco
Oggi non mi sono allontanato molto dal centro e nei presi di Dongdaemun ho avuto modo di assistere a un concerto di una band locale. Ho filmato la loro performance e sono andato sotto il palco per ottenere delle inquadrature migliori. La gente non prestava molta attenzione alla loro musica e forse per questo motivo il chitarrista mi ha sorriso timidamente quando ho alzato il pollice e ho pronunciato “great” da vero yankee. Non so quale sia il nome di questo gruppo dato che era scritto in Hangul, ma devo ammettere che i loro brani melodici in coreano, farciti con assoli scontati, mi sono piaciuti. Ieri sono andato al COEX, uno dei più grandi centri commerciali dell’Asia, e per solo quindicimila won ho visitato l’acquario che si trova al suo interno. Mi hanno stupito i giochi di luce di questo agglomerato di marche prestigiose e sono rimasto piacevolmente impressionato dalla sua eleganza tecnologica. Prima di raggiungere il COEX ho assistito a un arresto. Mi trovavo di fronte a un attraversamento pedonale e aspettavo che il semaforo diventasse verde quando d’un tratto ho scorto tre uomini in divisa che si adoperavano per smembrare una bancarella: il proprietario era disperato e cercava di riprendersi la merce, ma un quarto uomo, anch’egli in divisa e piuttosto robusto, lo teneva fermo con facilità. Quando ho raggiunto l’altro lato della strada ho tirato fuori la videocamera e ho ripreso i protagonisti di questa vicenda, ma gli attimi concitati erano già entrati nel passato e così ho perso un piccolo scoop per il mio documentario.
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Pubblicato venerdì 24 Agosto 2007 alle 01:53 da
Francesco
Ieri ho camminato più del solito. Prima ho preso la linea tre della metropolitana e sono arrivato fino alla stazione di Madu. Ho girato per Gongyang, la cosiddetta “flower city” che si trova fuori Seoul e poi mi sono incamminato verso quest’ultima per farvi ritorno. Dopo un lungo cammino di circa cinque ore, inframmezzato da un paio di soste e da qualche saluto inglese, ho raggiunto la fermata della metropolitana di Seodaemun e sono tornato nella mia zona per rifocillarmi a dovere. Durante la mia marcia solitaria ho scambiato un saluto con un giovane militare che mi ha mostrato un sorriso bambinesco più grande del suo elmetto. Tre giorni fa sono andato a Yongsan come mi ero ripromesso e mi sono ritrovato in un mercato nero della tecnologia. Ho acquistato un famoso prodotto della Sony e prima di riceverlo tra le mani per provarlo ho assistito a scene degne di un film. All’inizio ho dialogato un po’ con il venditore di turno, un ragazzone coreano piuttosto grasso che indossava una maglietta di Bob Marley e degli occhiali da figlio dei fiori. Parlava un inglese abbastanza comprensibile e ci ho conversato per qualche minuto: mi ha detto che vende abitualmente merce giapponese anche se è illegale e mi ha accennato qualcosa sulla frequenza dei controlli della polizia coreana. Quando gli ho chiesto ciò che volevo mi ha detto di aspettare e poi è andato a parlare con un altro tizio che a sua volta si è rivolto a un terzo uomo in jeans e t-shirt. Ho atteso venti minuti e alla fine ho visto arrivare un sacchetto nero. Non ho contrattato il prezzo dato che era già buono, ma ho passato qualche minuto a controllare il funzionamento del mio acquisto prima di salutare il faccione adiposo del venditore: “Have a nice day”. Dopo le compere illegali ho abbandonato Yongsan e mi sono aggirato nei pressi di Jonggak dove ho trovato il coraggio per comprare un po’ di cibo da uno dei molti chioschi fetidi che popolano Seoul.
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Pubblicato martedì 21 Agosto 2007 alle 03:30 da
Francesco
Cammino silenziosamente nel frastuono urbano. Osservo le moto cariche di merci che passano sopra i marciapiedi, scambio sguardi casti con le mie coetanee asiatiche, inalo il fetore degli angoli più degradati di questa metropoli malsana mentre un euntusiasmo profondo circonda ogni mio passo. Passeggio sotto il sole, ma rifletto davanti all’apertura alare della solitudine e mi lascio avvolgere dalla bellezza sconfinata del senso di vuoto. Quando la frenesia moltiplica il suono di un clacson le voci convinte dei venditori ambulanti passano in secondo piano. Qualcuno legge il futuro per pochi won e qualcun altro cerca di costruirselo con un lavoro umile. Ogni tanto una tuta mimetica spunta tra la folla e spesso appartiene a qualche giovane militare: in caso di necessità è facile trovare una bandiera da agitare. Potrei vivere a Seoul solo per amore di una donna o per odio nei confronti di un ambiente salubre. Come al solito la lontananza dall’Italia mi fa apprezzare l’importanza del silenzio non come gesto velleitario di saggezza, ma come alternativa economica ai rumori gutturali che qualcuno spaccia per discorsi importanti. Tante frasi nella mia lingua madre non riesco a vederle né a sentirle quando sono composte da parole amorfe prive di contenuto e forse è per questo motivo che non ho problemi con il coreano anche se non lo conosco. Le chiacchiere sono troie che assecondano la dialettica più forte, invece i fatti sono giudici imparziali e adesso mi trovo al loro cospetto sul banco degli imputati per rispondere del reato di felicitá insensata.
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Pubblicato domenica 19 Agosto 2007 alle 10:33 da
Francesco
Seoul mi piace e sono contento di vagare lungo le sue arterie senza una meta precisa. Attorno al mio hotel si trovano negozi di ricambi per qualsiasi cosa. Ogni mattina passo davanti a file interminabili di ventilatori e gomme per automobili. Sudo molto. Assumo e consumo parecchi liquidi. Forse ho perso un po’ di peso, ma non ne sono sicuro. Ieri mi sono spinto fino alle mura di Seoul e dopo una lunga serie di salite mi sono goduto una vista panoramica della capitale. Anche oggi ho camminato moltissimo e ho trovato un modo per scrivere gratuitamente i miei appunti insensati. In una piazza assolata un ragazzino in skate è venuto verso di me, mi ha detto “hello” e mi ha dato il cinque prima di dileguarsi nel caldo. Al World Cup Stadium ho incontrato due ragazzi dello Sri Lanka con i quali ho intrattenuto una breve conversazione. Ho intenzione di assistere a una partita di calcio del campionato coreano. Domani ho in programma di andare al mercato di Yongsan che è l’equivalente di Akihabara a Tokyo, ovvero un crocevia di prodotti tecnologici. Finora non ho speso molto. Ho fatto alcune fotografie e ho intrappolato circa sessanta minuti di Seoul con la mia videocamera.
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Pubblicato sabato 18 Agosto 2007 alle 07:48 da
Francesco
Finalmente ho scovato un posto per connettermi. In questo momento mi trovo vicino al World Cup Stadium. Il viaggio è andato bene, anche se il secondo volo, quello da Parigi a Seoul, è partito con quaranta minuti di ritardo. Ho impiegato molto per trovare il mio albergo, ma dopo alcune ore e svariati chilometri sono giunto a destinazione. Prima di mettere piede nel mio hotel mi sono avventurato a lungo per le strade di Seoul e il primo impatto con la capitale coreana è stato piuttosto forte. La città è compenetrata da odori nauseabondi che scuotono l’anima, molti palazzi sono fatiscenti e sembrano in procinto di abbandonare la loro stabilità. La ruggine screzia l’agonia architettonica di questa megalopoli asiatica. Ogni via è popolata da chioschi improvvisati che offrono pietanze di ogni tipo in condizioni igieniche piuttosto inquietanti. La gente mi sembra un po’ incuoriosita e un po’ diffidente nei confronti degli occidentali. Seoul assomiglia a Tokyo, ma ha meno ordine e appariscenza della capitale nipponica. Le persone vendono di tutto e talvota mettono sulle bancarelle prodotti che non riuscirebbero a dare via neanche se fossero loro a pagare gli acquirenti. L’altro ieri una ragazza mi ha offerto un drink analcolico per promuovere una nuova attività e due giovani coreane mi hanno servito con evidente imbarazzo quando sono entrato nella loro pasticceria per comprare qualcosa da mangiare. Una bambina mi ha salutato spontaneamente con un timido “hello” e io le ho risposto con un sorriso. Ho incontrato alcuni occidentali con i quali ho scambiato brevi saluti anglofoni. Nella metropolitana ho scambiato qualche parola in inglese con un coreano grasoccio che indossava una maglietta dei Cypress Hill e sorseggiava un frullato abbondante.
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Pubblicato martedì 14 Agosto 2007 alle 01:29 da
Francesco
Ogni volta che vado in aereo mi sembra di rivivere sensazioni fetali, ma al posto della placenta spesso trovo una hostess incantevole che si occupa di approvvigionarmi. Penso che affidare la propria vita all’efficienza di un aeromobile e alle capacità dei piloti sia un po’ come trovarsi nel grembo di una madre responsabile. Il volo amplifica il mio benessere e mi infonde dei momenti estatici così intensi che persino l’idea della morte non si può ritrarre da un cenno di stupore. Quando viaggio in aereo si riducono i limiti geografici della mia mente, infatti la mia percezione dello spazio si altera e mi sembra di abbracciare con lo sguardo una parte consistente del mondo in miniatura che si trova sotto di me. La mia presenza in un determinato luogo non mi permette di essere altrove nello stesso momento e ovunque io sia questa incapacità di essere onnipresente mi fa sentire distante da un ipotetico centro della realtà, ma questa bizzarra sensazione di inadeguatezza spaziale si riduce notevolmente quando mi trovo ad alta quota. Mi piacerebbe provare l’ebbrezza di un atterraggio di emergenza per ingrandire il mio bagaglio di esperienze. Le mie parole sembrano poco assennate, ma suppongo che lambire la fine della propria esistenza possa portare un individuo alla scoperta di prospettive impensabili con le quali guardare la realtà e ciò che le assomiglia. Se sopravvivessi a un incidente aereo l’ordine delle mie priorità cambierebbe o resterebbe identico? Forse riterrei d’uopo ripetere l’incidente per pormi meglio la domanda e di conseguenza la ricerca spasmodica di un biglietto per un altro sinistro volante diventerebbe la mia preoccupazione precipua.
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Pubblicato lunedì 13 Agosto 2007 alle 06:18 da
Francesco
Devo ancora completare la mia valigia, ma ho già preparato la colonna sonora del mio viaggio. Come al solito ho fatto una selezione eterogenea da contenere nel mio lettore MP3 per assecondare ogni mood. Per quanto riguarda il power metal e del progressive metal ho scelto cinque album che ritengo dei classici e che ascolterò per accompagnare le mie camminate baldanzose nel cuore di Seoul: “Transcendence” e “Crimson Glory” dei Crimson Glory, “Return To Heaven Denied” dei Labyirnth, “A Flame To The Ground Beneath” e “Awakening The World” dei Lost Horizon. Per i momenti più quieti ho scelto due pianiste orientali: Vienna Teng, con il suo pop raffinato sull’album “Warm Strangers”, e Keiko Mitsui con l’inconfondibile tocco jazz che la contraddistingue e che sfoggia anche nel suo ultimo disco: “Moyo”. Per omaggiare il passato ho deciso di includere anche “Demons & Wizards” degli Uriah Heep, un disco immortale di hard rock che è datato 1972. Sicuramente abbonderanno i momenti di spensieratezza durante il mio viaggio, insomma quei momenti in cui non penserò a un cazzo per nutrirmi della normalità inconsueta che mi circonderà e il cosiddetto AOR (rock melodico) che si trova su “Strive” di Michele Luppi farà da sfondo ai miei periodi di estraniazione in territorio straniero. Prima di continuare l’elenco della mia colonna sonora voglio citare un passo di “Feel Alive” che si trova sul sopracitato “Strive” e che mi rappresenta al cento per cento: “Twenty four years have gone by, still don’t have a clue ‘bout what I’m doing with my life, sometimes I wonder if I’ll make it through this time and every day and night I hide behind my right to feel alive”. Ovviamente non mi sono negato un paio di album strumentali e ne ho scelti tre che mi piacciono molto: il primo è “Big Sky” di Brett Garsed, uno dei miei chitarristi preferiti, il secondo si chiama “Tangram” ed è di Porty, un chitarrista il cui stile ricorda quello di Joe Satriani e infine due dei miei dischi preferiti in assoluto, ovvero “Electric Tears” e “Population Override” di Buckethead. Come sempre nella mia selezione ho inserito anche una raccolta di Franco Battiato, “Last Summer Dance”, per assecondare qualche momento velleitariamente mistico e per soddisfare il bisogno di ascoltare un uso evocativo della mia lingua madre su arrangiamenti sempiterni. Per quanto riguarda il campo dell’hip hop ho scelto un solo album al quale sono molto legato: “Southernunderground” dei Cunninlynguists. Ricapitolo qua sotto.
Brett Garsed – Big Sky
Buckethead – Population Override
Buckethead – Electric Tears
Cunninlynguists – Southernunderground
Crimson Glory – Crimson Glory
Crimson Glory – Transcendence
Franco Battiato – Last Summer Dance
Keiko Matsui – Moyo
Labyrinth – Return To Heaven Denied
Lost Horizon – Awakening The World
Lost Horizon – A Flame To The Ground Beneath
Michele Luppi – Strive
Porty – Tangram
Uriah Heep – Demons & Wizards
Vienna Teng – Warm Strangers
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