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Un omaggio al grimpeur di Cesenatico

Nel 1998 il Giro d’Italia passò anche per Orbetello e fu un momento abbastanza emozionante. In quell’anno Marco Pantani conquistò la maglia rosa e io mi esaltai di fronte alle sue imprese. Ricordo che negli anni seguenti, in occasione del Giro d’Italia e del Tour de France, trascorsi molti pomeriggi di fronte a Rai Tre per ammirare le fatiche disumane dei ciclisti e forse da quelle immagini estenuanti iniziò a svilupparsi in me la passione per gli sforzi salutari. Per un po’ di tempo tentai di emulare le imprese degli scalatori con quella tenera ingenuità che appartiene ai ragazzini solitari e cominciai ad affrontare qualche salita, ma non ero un Miguel Indurain in erba e invece dello Zoncolan o dell’Alpe d’Huez avevo di fronte le pendenze del Monte Argentario. Dopo un paio d’anni il mio interesse per le due ruote scemò, ma si riaccese in occasione della morte di Marco Pantani e crebbe al di là dello sport. Oggi continuo a coltivare il piacere della pedalata e ogni volta che ne ho la forza mi allontano il più possibile dal punto di partenza, qualunque esso sia. Non sono un ciclista mancato, ho un passo ridicolo e poca predisposizione all’agonismo, ma riesco ad affrontare ogni salita e quando torno a casa dopo qualche ora passata in sella mi sento appagato. Appunto su queste pagine virtuali un video molto emozionante che celebra le gesta di Marco Pantani perché ogni tanto penso alle sue imprese quando i miei polpacci sono prossimi allo stiramento e le ginocchia mi dolgono. Negli ultimi giorni sono comparse nuove ombre sul ciclismo, ma in questa disciplina c’è sempre un raggio che trafigge la cupidigia per il podio e si tratta della sfida con se stessi che si risolve nel classico parallelismo tra sport e vita.

Francesco

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