Ancora una volta mi inchino con profonda riverenza di fronte alle gioie del vuoto esistenziale. Conduco una vita un po’ atipica. Ho la possibilità di concedermi delle dipendenze che non ho mai provato, ma rinuncio ai loro servigi per alimentare il narcisismo della mia capacità decisionale; in altre parole non ho mai provato la droga tangibile perché non penso che esista uno stupefacente migliore della speculazione intellettuale sulle proprie scelte. Il mio Ego si alimenta di rinunce e non ambisce a un posto nel firmamento. Godo del mio anonimato, ma non è indispensabile per il mio egocentrismo. Mi piace compiere piccole imprese in sordina e tenerle per me stesso al fine di valorizzarle nella bacheca dei miei trofei amorfi. Ho le sembianze di un asceta ateo, ma in realtà ho un cuore che cronometra la mia corsa campestre senza traguardo lungo il ducato conteso dall’ozio e dell’autocompiacimento. La fortuna mi ha assistito in diverse occasioni, ma talvolta le coincidenze hanno fatto un pessimo gioco di squadra e il mio tempismo ne ha risentito considerevolmente. In più occasioni mi sono ritrovato nel posto giusto al momento sbagliato o viceversa. Forse se gli eventi quadrassero ab aeterno la geometria sarebbe alla portata della mie facoltà e comprenderei meglio la natura di ogni cosa nella sua aberrante uniformità. Non ho grandi meriti, non fingo di averne e la mia interiorità non ne risente. Negli ultimi anni il mio autocontrollo è cresciuto in maniera esponenziale e adesso ha raggiunto delle dimensioni ragguardevoli. Qualcuno mi accusa di essere monotono perché non mi scompongo e sostiene che il mio tono di voce sia monocorde, ma per me queste valutazioni non sono altro che la conferma di una crescita interiore che, ahimè, non è stata seguita da una crescita del mio organo di riproduzione: il cazzo. Non penso che le misure del mio pene possano inficiare l’equilibrio della mia esistenza, ma non nego che mi sarebbe piaciuto essere un superdotato vergine.
Qualche giorno fa ho parlato con un padre di famiglia che, per sua stessa ammissione, conduce una vita piuttosto oziosa. Costui mi ha raccontato che ha convolato a nozze attorno ai venticinque anni dopo una prima giovinezza abbastanza libertina trascorsa in giro per il mondo. Senza che io gli chiedessi nulla ha iniziato a dirmi che sua moglie e suo figlio per lui rappresentano degli ostacoli morali che gli impediscono di condurre nuovamente la vita da donnaiolo dissoluto. Ho avuto uno scambio di opinioni con questo tizio e sono rimasto un po’ annoiato dalla sue parole intrise di sessismo e banalità. Se una persona si sposa, concepisce un figlio e poi va in giro a ostentare il suo pentimento per queste scelte ai miei occhi non è altro che un essere pusillanime che violenta i sentimenti dei suoi cari per sentirsi meno frustrato. Credo che nessuno abbia obbligato il tizio in questione a mettere su famiglia ed è proprio la libertà delle sue azioni che rende aberrante il suo comportamento sprezzante nei confronti dei suoi congiunti. Non sono un moralista né soffro di quella malattia che prende il nome di “religione”, ma sono un fautore del buon senso. A tutti i finti edonisti con cui parlo prospetto sempre la possibilità di soddisfare la loro concupiscenza con le prostitute, ma pare che per costoro sia più degradante andare a mignotte che deridere la propria famiglia con gli estranei e il coglione con cui ho parlato non fa eccezione. Nessuno dovrebbe sorprendersi se un figlio che nasce a seguito di una sborrata aleatoria e di un desiderio materno intriso di egoismo da grande non diventi un fisico nucleare. Purtroppo i culti religiosi si sono appropriati indebitamente di qualità che appartengono al genere umano al di là di qualsiasi sua interpretazione mitologica e mi riferisco precisamente alla fedeltà, alla carità, al rispetto che ormai sembrano impropriamente utopie o l’incipit per un discorso demagogico. Per me la masturbazione è anche un modo per dire no alle debolezze trascurabili della carne che talvolta producono drammi pesanti e relativo merchandising. Preferisco crepare vergine e godermi la pace dell’andropausa piuttosto che ingannare una ragazza per scoparci solo per diletto. Parecchi uomini che conosco vogliono fottere donne comuni perché amano ingannarle e anche se le trattano come puttane rifiutano di sfogare i loro impulsi con coloro che sono puttane di professione perché amano crogiolarsi in deliri di onnipotenza abbastanza comici. Certe volte l’orgasmo degli omuncoli non è nell’atto sessuale, ma nel vanto di quest’ultimo che avviene ai tavoli di un bar di merda o nelle discussioni becere sotto qualche lampione disinteressato. Io vengo deriso perché a ventitré anni sono vergine per rispetto verso la mia visione dell’amore e del mio prossimo, ma preferisco suscitare una risata in una ragazza un po’ ignorante che strappare lacrime dalla sua ingenuità. L’ho scritto in altre occasioni e lo ripeto per l’ennesima volta: non mi toccano molto i giudizi positivi né quelli negativi ed è per questo che posso permettermi un’indipendenza morale che trova il suo caposaldo nella concretezza delle mie scelte. Anche se una donna volesse essere trattata come una troia io non la tratterei mai come tale, ma applaudirei alla sua sincerità, qualora la sua scelta avesse radici sincere e non fosse una ripicca libertina a seguito di qualche inevitabile delusione. Il machismo vuole sottomettere la donna, ma spesso non si stacca mai dal grembo materno ed è ridicolo. Da mia madre accetto solo denaro e prendo in prestito le sue foto per masturbarmici sopra. L’ultima affermazione, a metà tra realtà e leggenda, è un modo per prendere le distanze in modo completo e grottesco dai poveri coglioni che ragionano sulla falsa riga dell’idiota che ho preso in esame all’inizio.
Come ogni anno la maturità suscita un po’ di interesse nei media e puntualmente evoca in me dei ricordi divertenti. Il mio status di figlio viziato mi ha consentito di conseguire il mio diploma del cazzo attraverso una scuola privata. Quattro anni fa ho sostenuto l’esame di maturità in una scuola parificata nei dintorni di Roma e mi sono diplomato ingiustamente insieme ad altre persone cresciute a pane e scorciatoie. In passato ho già dispensato qualche parola severa sulla ridicolaggine del mio titolo di studio e recentemente ho sottolineato ancora una volta l’equipollenza tra il mio diploma e un rotolo di carta igienica. Ho notato differenze importanti tra la scuola pubblica e quella privata: nella prima lo stile spartano dei banchi e la negligenza dei professori offrono un ottimo giaciglio per stendere il capo, mentre nella seconda risulta più scomodo strappare l’attenzione alle spiegazioni dei docenti. A distanza di tempo mi chiedo ancora in quale vaso di Pandora la commissione esaminatrice abbia trovato il coraggio per annoverarmi nella cerchia dei diplomati. Ero così disinteressato nei confronti della maturità che durante la pausa di due giorni che intercorse tra due scritti decisi di fare un salto a Parigi; trascorsi dodici ore in treno per arrivare a Bercy e altre dodici per tornare a Termini, ma ne valse la pena. Passai poche ore nella capitale francese, ma poiché vi ero stato già diverse volte riuscii a godere senza troppi problemi del mio breve vagabondaggio transalpino. A quel tempo avevo i capelli lunghi e pieni di nodi e una barba lunghissima e folta che attiravano i tossici in cerca di cannabis e le domande di routine dei tutori della legge. Ricordo che durante gli orali illuminai gli esaminatori con la stessa intensità di un fiammifero che cerca di fare luce sul cadavere di un nigeriano disteso all’interno di una camera mortuaria durante un black out.
Porta un rubino all’anulare destro e sfoggia due smeraldi nelle cavità oculari. Sembra che voglia un tetto sopra la testa per allentare i pesi che ha sulla coscienza. Ruba e mente, ma non è una ladra né una bugiarda. Il suo fascino è delicato ed è totalmente estraneo ai canoni di bellezza che vanno per la maggiore nei miei emisferi cerebrali. La sua personalità contiene ancora dissapori adolescenziali, ma dal suo volto austero non traspare questa caratteristica. Ella dispone di un sorriso esperto e di un’emotività suscettibile quanto la nitroglicerina. Ha sembianze mitologiche: metà Afrodite e metà Idra di Lerna. La mia curiosità s’interroga spesso sulle nudità di questa creatura e prima di addormentarmi la fantasia mi spinge a cingerle i fianchi eterei. Adoro la sua intelligenza e il modo in cui certi aspetti del suo comportamento si legano alla conoscenza che ha accumulato in meno di vent’anni. Costei sta su una sponda mentre sull’altra giace ammiccante la solitudine in tutta la sua beltà immortale e in mezzo scorre la realtà con cui compio abluzioni quotidiane. Quando penso a lei scorgo macchie anomale sopra un cielo limpido e mi chiedo se i miei sensi debbano omaggiarla o meno. Mi piace il suo cranio, ma disprezzo certi impulsi che talvolta crescono celermente al suo interno e poi si manifestano con violenza verbale per ordine dell’isteria. Mi chiedo se le coincidenze mi abbiano presentato una mantide religiosa o la parte mancante di quella felicità complementare che non ho ancora conosciuto a differenza della gioia individuale che conosco a menadito.
Per sentirmi parte di questo mondo non ho bisogno di intrecciare le falangi verso il soffitto. Le bombe che cadono dal cielo fanno alzare le mani per strada, ma non lascio che la violenza e la povertà producano in me un’afflizione spropositata e parimenti evito che un’indifferenza egoistica infetti la mia visione del mondo. Non sono un filantropo, ma talvolta soddisfo le richieste dei questuanti che sanno chiedere in silenzio. Finora ai miei simili ho porto solamente doni tangibili di poco valore per soddisfare parzialmente i loro bisogni primari, ma nello strato più abbiente del mondo non sono ancora riuscito a trasmettere scosse emotive intarsiate d’oro a nessuna voce femminea. Non cerco significati nascosti e provo a dare il giusto peso a ogni apparizione della volontà della mia specie. Forse la distruzione è una necessità come lo è la volontà di debellarla. Credo che affibbiare un significato alla propria vita non modifichi la sostanza di quest’ultima, ma suppongo che ne muti semplicemente la forma. La mia stabilità interiore non ha nessuna connotazione spirituale e si alimenta di scelte concrete. Trovo che anche la rinuncia, l’inerzia e il silenzio siano strumenti efficaci per governare la propria esistenza, ma non verto le mie decisioni esclusivamente su questa triade che il mio immaginario attribuisce all’ascetismo. Voglio invecchiare bene e affinare la mia sensibilità attraverso l’apprendimento autodidattico di ciò che reputo interessante tra i cimeli conservati dalla mia civiltà. Sono un essere qualunque in un pianeta qualunque e non ricopro di negatività questa considerazione tautologica.
Ettolitri di immagini traboccano dal serbatoio che si trova sopra il mio collo. Sono una macchina pensante senza un rodaggio adeguato. I miei meccanismi sono difettosi, ma l’ottimo funzionamento della mia coscienza artificiale compensa le pessime condizioni del mio nucleo affettivo. Sono un apparecchio deputato all’estrazione e all’analisi della felicità, ma non sono ancora pronto per mettermi all’opera. Prima di essere assegnato in una zona indefinita dell’ignoto devo attendere che il mio assetto superi il collaudo del tempo. Mi trovo in un hangar introspettivo e sono circondato da verifiche empiriche che indossano tute da lavoro e caschi ogniqualvolta si adoperano per la mia messa a punto. Una fiamma ossidrica salda nel mio cranio i ricordi personali più importanti degli ultimi decenni mentre in un reparto stagno del mio cerebro vengono stipate sensazioni ed emozioni autentiche. Un operaio cerca di calibrare bene la mia sensibilità per evitare che l’indicatore di quest’ultima tenda troppo verso la malizia o punti eccessivamente verso l’ingenuità. Un ingegnere si occupa personalmente della mia età e programma scrupolosamente la data della mia morte in base alle mie potenzialità emotive. I miei organi sono un ammasso di lamiere che nel migliore dei casi possono resistere alle intemperie per un secolo. Siamo automi con un’autonomia breve. Il mio sistema di navigazione è irreparabile e uso l’intuizione come comando di emergenza per muovermi nel ricettacolo sul quale sono disseminate le occasioni della mia esistenza meccanica, ma in questo modo rischio di causare avarie piuttosto comuni ai reattori volitivi che generano la propulsione di cui necessito e di conseguenza contemplo il pericolo di un arresto improvviso come un evento tutt’altro che remoto.
Due mani fredde lasciano cadere petali bucati sopra una tomba innevata. I rami spogli ospitano nidi vuoti e le radici degli alberi sono votate all’attesa del loro sradicamento. Sotto un lago ghiacciato giace il corpo di una monaca di clausura e spesso una giovane folle pattina nuda sopra la lastra trasparente che divide il suo organismo dall’ipotermia e il cadavere della religiosa dalla superficie. Un taglialegna colpisce con violenza dei tronchi mentre il figlio handicappato guarda il cielo e crede che la madre cammini sulle nuvole accanto a un serafino. Gli altopiani sono pallidi e presentano sfumature cianotiche sulle quali sbocciano croci di legno. I rumori dell’ambiente sono appesantiti dai venti glaciali e acuiscono le sensazioni dei malanni febbrili che invitano pensieri luttuosi sull’uscio di un vecchio chalet. In questo angolo remoto della Terra la verità prende la forma della vita, ma al contempo perde l’importanza ontologica che ogni essere umano le attribuisce quando la sua coscienza si risveglia e inizia ad annoiarsi. Qualunque cosa riesca a resistere al gelo di questa landa non ha la forza per confermare la sua esistenza e si limita a giacere tra il dubbio della vita e la certezza della morte. Nel ventre di questo vuoto, che aspira allo zero assoluto senza conoscere il potere dell’ambizione, il nulla è celebrato al di là dello spazio e del tempo, ma la sua natura include anche uno splendore che non sembra tale a causa della sua origine.
Un alcolizzato raggiunge l’ultima spiaggia, ma i suoi sensi annebbiati non riescono a scorgerne l’importanza. Per le strade un lavoratore precario incolla dei manifesti a favore di una campagna contro la droga mentre a qualche chilometro di distanza, in aperta campagna, un rave delizia il gusto naif di un’indolenza collettiva che le apparenze travestono da nichilismo. Sui muri appaiono simboli anacronistici che alimentano l’identità artificiale di un impegno politico intenso quanto uno sforzo sfinterico. La notte sbadiglia di fronte al culto di Satana e non si cura di chi incensa le forze diaboliche per gioco. Teschi, crocifissi rovesciati, scritte sui muri e raduni notturni che hanno il sapore di imprese adolescenziali talvolta sono la facciata esoterica di un’attività massonica che coinvolge gente di potere. I sensi di colpa trivellano la coscienza di un giovane suicida che non ha mai ascoltato se stesso. Un bimbo maggiorenne si proclama filosofo dalla nascita e il sabato sera scioglie se stesso negli acidi perché non vuole raggiungere la senescenza. D’un tratto una ragazza facile comprende quanto sia difficile trovare il principe azzurro e decide di accontentarsi dei barbiturici che le ha lasciato in eredità la madre. Un neopatentato cerca l’adrenalina nella velocità perché la sua vita scorre troppo lentamente, ma qualche volta l’imponenza di un platano si oppone all’arroganza del contagiri senza dare spiegazioni. La noia genera mostri ammaestrati che cercano la felicità nelle lande della distruzione. L’indulgenza verso se stessi può ipnotizzare i sensi e porre fine alla loro esistenza. Le poche cose che possono colmare il vuoto sono a portata di mano, ma un pianeta dominato da monchi può solo succhiare il cazzo all’autoflagellazione.
Sentimenti eterni nel passato remoto
Pubblicato venerdì 15 Giugno 2007 alle 13:47 da FrancescoTempo addietro una ragazza mi concesse il suo interesse con euforia. Non sfiorai mai il suo corpo, ma ricevetti in dono le sue confessioni più profonde. Mi parlò compiutamente dei suoi trascorsi e io, per tutta risposta, ne adulai la dissolutezza. Avvennero traffici di parole e lentamente emersero incongruenze insanabili. Ella mi accusò più volte di inerzia e alla fine mi voltò le spalle con una lacrima di troppo, ma io continuai a stimarla anche in seguito alla sua uscita di scena: si trattò di un’ovazione che protrassi di fronte a un sipario chiuso. Il mio ozio fu la causa del nostro distacco e più volte pensai alla mancanza di pragmatismo che lei mi lasciò come addebito morale. Le dita che avrei voluto inanellare puntarono il mio capo per formulare accuse di inettitudine e mi condannarono all’esilio, ma negli anfratti del castigo ritrovai la solitudine ed essa chiuse un occhio sul mio allontanamento dalle sue grazie e con l’altra pupilla mi sedusse ancora una volta. Le mie qualità non riuscirono ad arrampicarsi sino alle pendici dei miei simili, ma rimasero appese a testa in giù come pipistrelli pigri. Le esplosioni sentimentali di altri esseri umani illuminarono il mio immaginario e io godetti di quella pirotecnica emotiva con piacere e discrezione. Non fui il protagonista dell’opera più nobile a cui ogni persona si candida fin dalla nascita, ma rimasi per forza di cose o per assenza di forze nelle vesti del mio personaggio secondario e trascorsi in sordina il mio ruolo marginale. Mi cibai di un appagamento incompleto e versai gioie naif in un Santo Graal di plastica.
Loro due e una combustione ancestrale
Pubblicato venerdì 15 Giugno 2007 alle 01:23 da FrancescoLei rinuncia un po’ a se stessa per assicurasi che lui non contempli piani fedifraghi. Il silenzio avvicina gli intenti dei loro sguardi e un po’ di violenza animale guida i loro movimenti erotici. Certi sussurri tolgono il respiro, ma non bloccano l’ossigenazione. Un’intesa inalienabile sostiene il desiderio di attenzioni reciproche. Un gesto sfiora la cute di lei e passa il testimone alla sua reazione facciale. La complicità procede a turni, ma la bellezza del suo dinamismo non suscita interesse nei confronti dei suoi ingranaggi. Ambedue si fondono nella più sublime forma di solitudine per la quale non esiste nome né consapevolezza. L’amore è bistrattato dai significati spirituali che gli uomini attribuiscono alla sua esistenza e spesso è messo all’angolo da chi ne nega aprioristicamente la consistenza per interesse o su consiglio dell’istinto di autoconservazione, ma per loro due l’amore è un vuoto enorme che irradia i sensi e le facoltà più recondite. La passione passa attraverso gli orifizi, irriga le zone più aride dell’intimità e buca la carne senza lasciare tracce per scavalcare l’esosfera e tacere in assenza di gravità fino alla morte dell’universo. La voluttà di entrambi combacia con la volontà della loro gioia. Una luce distante illumina a sufficienza i loro volti e un abbraccio sudato intrappola la coincidenza di un sentimento uniforme che non appartiene all’iconografia della liaison deputata al parto precoce di un amarcord superficiale. Ciò che sarebbe potuto accadere è un sofisma prefabbricato che può solo attentare al valore di ciò che è già accaduto. Loro due si amano e non c’è biasimo cinico né connotazione fallace che possa scalfire il vuoto tangibile che arroventa i loro corpi.