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Il vuoto lastricato dalla vanità

Ancora una volta mi inchino con profonda riverenza di fronte alle gioie del vuoto esistenziale. Conduco una vita un po’ atipica. Ho la possibilità di concedermi delle dipendenze che non ho mai provato, ma rinuncio ai loro servigi per alimentare il narcisismo della mia capacità decisionale; in altre parole non ho mai provato la droga tangibile perché non penso che esista uno stupefacente migliore della speculazione intellettuale sulle proprie scelte. Il mio Ego si alimenta di rinunce e non ambisce a un posto nel firmamento. Godo del mio anonimato, ma non è indispensabile per il mio egocentrismo. Mi piace compiere piccole imprese in sordina e tenerle per me stesso al fine di valorizzarle nella bacheca dei miei trofei amorfi. Ho le sembianze di un asceta ateo, ma in realtà ho un cuore che cronometra la mia corsa campestre senza traguardo lungo il ducato conteso dall’ozio e dell’autocompiacimento. La fortuna mi ha assistito in diverse occasioni, ma talvolta le coincidenze hanno fatto un pessimo gioco di squadra e il mio tempismo ne ha risentito considerevolmente. In più occasioni mi sono ritrovato nel posto giusto al momento sbagliato o viceversa. Forse se gli eventi quadrassero ab aeterno la geometria sarebbe alla portata della mie facoltà e comprenderei meglio la natura di ogni cosa nella sua aberrante uniformità. Non ho grandi meriti, non fingo di averne e la mia interiorità non ne risente. Negli ultimi anni il mio autocontrollo è cresciuto in maniera esponenziale e adesso ha raggiunto delle dimensioni ragguardevoli. Qualcuno mi accusa di essere monotono perché non mi scompongo e sostiene che il mio tono di voce sia monocorde, ma per me queste valutazioni non sono altro che la conferma di una crescita interiore che, ahimè, non è stata seguita da una crescita del mio organo di riproduzione: il cazzo. Non penso che le misure del mio pene possano inficiare l’equilibrio della mia esistenza, ma non nego che mi sarebbe piaciuto essere un superdotato vergine.

Francesco

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