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L’esame di maturità

Come ogni anno la maturità suscita un po’ di interesse nei media e puntualmente evoca in me dei ricordi divertenti. Il mio status di figlio viziato mi ha consentito di conseguire il mio diploma del cazzo attraverso una scuola privata. Quattro anni fa ho sostenuto l’esame di maturità in una scuola parificata nei dintorni di Roma e mi sono diplomato ingiustamente insieme ad altre persone cresciute a pane e scorciatoie. In passato ho già dispensato qualche parola severa sulla ridicolaggine del mio titolo di studio e recentemente ho sottolineato ancora una volta l’equipollenza tra il mio diploma e un rotolo di carta igienica. Ho notato differenze importanti tra la scuola pubblica e quella privata: nella prima lo stile spartano dei banchi e la negligenza dei professori offrono un ottimo giaciglio per stendere il capo, mentre nella seconda risulta più scomodo strappare l’attenzione alle spiegazioni dei docenti. A distanza di tempo mi chiedo ancora in quale vaso di Pandora la commissione esaminatrice abbia trovato il coraggio per annoverarmi nella cerchia dei diplomati. Ero così disinteressato nei confronti della maturità che durante la pausa di due giorni che intercorse tra due scritti decisi di fare un salto a Parigi; trascorsi dodici ore in treno per arrivare a Bercy e altre dodici per tornare a Termini, ma ne valse la pena. Passai poche ore nella capitale francese, ma poiché vi ero stato già diverse volte riuscii a godere senza troppi problemi del mio breve vagabondaggio transalpino. A quel tempo avevo i capelli lunghi e pieni di nodi e una barba lunghissima e folta che attiravano i tossici in cerca di cannabis e le domande di routine dei tutori della legge. Ricordo che durante gli orali illuminai gli esaminatori con la stessa intensità di un fiammifero che cerca di fare luce sul cadavere di un nigeriano disteso all’interno di una camera mortuaria durante un black out.

Francesco

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