Ettolitri di immagini traboccano dal serbatoio che si trova sopra il mio collo. Sono una macchina pensante senza un rodaggio adeguato. I miei meccanismi sono difettosi, ma l’ottimo funzionamento della mia coscienza artificiale compensa le pessime condizioni del mio nucleo affettivo. Sono un apparecchio deputato all’estrazione e all’analisi della felicità , ma non sono ancora pronto per mettermi all’opera. Prima di essere assegnato in una zona indefinita dell’ignoto devo attendere che il mio assetto superi il collaudo del tempo. Mi trovo in un hangar introspettivo e sono circondato da verifiche empiriche che indossano tute da lavoro e caschi ogniqualvolta si adoperano per la mia messa a punto. Una fiamma ossidrica salda nel mio cranio i ricordi personali più importanti degli ultimi decenni mentre in un reparto stagno del mio cerebro vengono stipate sensazioni ed emozioni autentiche. Un operaio cerca di calibrare bene la mia sensibilità per evitare che l’indicatore di quest’ultima tenda troppo verso la malizia o punti eccessivamente verso l’ingenuità . Un ingegnere si occupa personalmente della mia età e programma scrupolosamente la data della mia morte in base alle mie potenzialità emotive. I miei organi sono un ammasso di lamiere che nel migliore dei casi possono resistere alle intemperie per un secolo. Siamo automi con un’autonomia breve. Il mio sistema di navigazione è irreparabile e uso l’intuizione come comando di emergenza per muovermi nel ricettacolo sul quale sono disseminate le occasioni della mia esistenza meccanica, ma in questo modo rischio di causare avarie piuttosto comuni ai reattori volitivi che generano la propulsione di cui necessito e di conseguenza contemplo il pericolo di un arresto improvviso come un evento tutt’altro che remoto.
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