Osservo i movimenti dinoccolati di uno sciamano, ma non presto attenzione ai discorsi sconclusionati che fuoriescono dal suo stato di trance. Faccio i conti con sensazioni incommensurabili e ricavo rimproveri dagli specchi a cui concedo uno sguardo. La vita mi sollecita a vivere, ma spesso rifiuto il suo entusiasmo e resto da un’altra parte con il placet del silenzio. Non mi lascio convincere da chi millanta un’ipertrofia del proprio cerebro e saluto con un gesto lento gli inviti dell’allegria forzata. Non conosco nulla di sacro, ma amo profanare le frasi di circostanza quando mi è possibile. Rammento vagamente gioie fetali che non fanno parte di questo mondo né di quello inesistente che viene esibito sovente dalle grandi corporazioni religiose. I fedeli ostentano una sicurezza malcelata come i sentimenti traballanti di una giovane adolescente che sogna nozze d’argento con un ragazzo che anela solamente denti d’oro. Non mi spaventa il tempo che trascorre e accarezzo teneramente quello che si è già accomodato nel passato. Non ambisco a nulla, ma gradirei preservare la genuinità della mia esistenza e chiuderla il più tardi possibile con una morte naturale durante un pomeriggio domenicale. Alcuni abitanti di una metropoli agognano la solitudine insulare per chetare lo stress urbano, ma credo che la propria mente sia l’eremo migliore che la natura possa offrire a un essere umano. Galleggio piacevolmente negli aspetti ignoti dell’ambiente che mi circonda e del mondo che a sua volta sovrasta il mio microcosmo. Non voglio risposte, teorie o citazioni. La limitatezza umana mi dona perché è della mia taglia e non sono interessato ai ricami platonici di chi scuote la ragione, con la stessa grazia di uno strozzino violento, per estorcerle risposte che ella non possiede.