La meritocrazia viene stuprata quando nei corridoi importanti l’opulenza incontra la violenza oligarchica. Gli impiegati del male compiono abusi di ufficio e la concussione spesso viene spacciata per un’opera di bene. La amazzoni della beltà non riescono sempre a reggere l’impatto con la realtà e talvolta indossano un tailleur per diventare le troie di affaristi canuti sulla cinquantina. Qualcuno marchia la sua pelle con un tatuaggio e investe quest’ultimo di un significato particolare per omologarsi al desiderio di distinguersi che aleggia nell’aria. Gente poco pragmatica si accultura per accusare la società di razzismo intellettuale e parimenti i figli di un materialismo esasperato addossano le loro colpe al cannibalismo delle istituzioni. Tra uno scaricabarile e l’altro ogni tanto ci scappa il morto e di solito tendo a battere le mani senza ironia per chi decide di porre fine alla sua vita. A me piace vivere, ma rispetto chi ricorre al suicidio per ammazzare il tempo e mi rendo conto di come questo atto a volte sia stigmatizzato eccessivamente o subisca l’onta di una compassione fuori luogo. La morte intimorisce i cani, i porci e tutti coloro che hanno difficoltà ad accettare il dominio dell’attuale inconoscibilità della finitezza umana. Sostanze tossiche adulterano le funzioni cerebrali e modificano il battito cardiaco. La sofferenza è la droga più potente che esista e a differenza delle sue colleghe più celebri può avere degli effetti benefici: è tagliata con la volontà e la propria personalità ha l’esclusiva sullo spaccio. Ancora una volta ribadisco il mio disprezzo per chi si lascia schiavizzare da ogni forma di dipendenza cancerogena e mi chiedo se con l’alchimia sia possibile trasformare la stupidità in qualcosa che fotta il male endemico. Un esercito di disperati: senza nicotina non fanno un passo, senza maschere non mostrano la faccia, senza fede non sanno credere e senza denaro non si redimono. Non lancio invettive inutili contro nessuno. Ce l’ho solo con la mancanza di argomenti migliori sui quali sborrare frasi a ripetizione per spendere un po’ di tempo con la mia inventiva.
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