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Mens sana in corpore sano

Pubblicato lunedì 4 Giugno 2007 alle 07:49 da Francesco

In questo secolo in cui la vita umana viaggia sempre più speditamente la solitudine spesso è stigmatizzata e temuta. L’ho già scritto in passato e lo ripeto nuovamente: la solitudine può essere la più sadica delle carnefici o la migliore precettrice che un individuo possa incontrare lungo la sua esistenza. La mia sensibilità continua ad affinarsi grazie a un isolamento prolungato che è inframezzato da momenti aleatori di socialità. Non ho mai avuto legami affettivi e di conseguenza non ho subito le cattive influenze delle delusioni giovanili. I miei sentimenti sono vergini come la mia sessualità e devo la loro autenticità alla mancanza di risentimento che spesso alberga nei cuori dei miei simili. A questo punto della mia giovane vita inizio ad avvertire un profondo senso di distacco da tutte quelle passioni che non ho mai provato. È come se camminassi tranquillamente in mezzo a una folla che corre e scalcia per accaparrarsi un pezzo di carne e qualche sentimento artificiale con il quale condire un po’ il pasto dell’egoismo. Non mi appartiene la fame di sesso dei miei coetanei, non mi appartengono le infatuazioni, non mi appartiene la debolezza della carne e non mi appartengono i sentimenti costruiti a tavolino. L’autocontrollo e la volontà di osservare il mondo da un’ottica imparziale ripagano tutte le rinunce e gli sforzi con i quali tento di migliorare me stesso. La mia mente atea non si nutre di principi religiosi e rigetta qualsiasi consolazione oppiacea, il mio corpo caucasico gode di salute e compie fatiche salubri. A volte mi sento combattuto, ma mediamente riesco a gioire del vuoto sul quale cammino e spero di continuare a procedere in salita fino al giorno della mia estinzione.

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