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La schiavitù semantica

Ieri pomeriggio ho completato la lettura de “La Quarta Via” di Ouspensky e ho iniziato a leggere le prime pagine di una celebre opera di Immanuel Kant: “Critica della Ragion Pura”. Penso che nei libri non si trovino risposte, ma credo che alcuni testi offrano dei mezzi intellettuali per affinare la propria capacità di migliorarsi. Leggo sempre a voce a alta e ogni tanto mi capita di ripetere due volte la lettura di certi paragrafi: la prima volta seguo il suono delle parole e non bado al loro significato, la seconda volta pongo più attenzione a ciò che si trova davanti ai miei occhi e lascio perdere i piaceri dell’eufonia. Le parole mi sembrano ordigni inefficaci per abbattere i muri dell’incomprensione e credo che siano condannate perennemente a vestire i panni di un intermediario confusionario e poco lungimirante. Le frasi talvolta sfuggono al proprio controllo perché chi le riceve può rivestirle di un significato diverso da quello originario. Lo stato d’animo può sequestrare una parola e costringerla ad assumere un significato che può innescare una reazione a catena sulla base di una interpretazione influenzata dall’umore e in più la soggettività si trova sempre dietro l’angolo a fare il palo per giustificare ogni chiave di lettura errata. Nel mio immaginario le parole assomigliano a venti incontrollabili che di tanto in tanto riescono casualmente a trasportare nel posto giusto le traduzioni verbali della propria personalità. Credo che occorra acquisire molto controllo sulla propria lingua madre per prevenire e arginare i difetti di esposizione che talvolta sono legati a una forma troppo grezza o artificiosa. Forse l’amore è anche una forma di devozione verso il modo di esprimerlo nel proprio linguaggio e nella fattispecie mi riferisco al linguaggio orale. L’intonazione, la pronuncia, l’inflessione: questi elementi fonici si sommano alle impressioni fisiognomiche e inconsciamente producono antipatie e simpatie.

Francesco

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