Gli ultimi due giorni sono stati quasi torridi e ho preferito trascorrerli in casa a riposarmi con le persiane chiuse e la mente spalancata. È tempo di magra per la mia bancarella di frasi, infatti riesco a scambiare solo poche parole di scarso valore con i miei interlocutori saltuari. In questo periodo non ho molte cose da dire e mi limito ad assecondare il processo vitale della mia ennesima stasi semantica. Di mattina mi piace guardare “Duke of Hazzard” in televisione: questo vecchio telefilm imperniato sugli inseguimenti rurali mi ricorda l’infanzia. Equazione ambientale: Atlantide sta all’acqua come Napoli sta ai rifiuti. Le sconfitte altrui alimentano la soddisfazione sportiva più delle proprie vittorie. Tradimenti e tentativi di rapina sfociano nel sangue e le telecamere riprendono tutto al delta di ogni tragedia. L’informazione viene edulcorata o acuita a seconda delle tendenze dell’audience. A me manca l’affetto mentre a una ingente percentuale dei miei coetanei terzomondisti manca l’acqua. La Corea del Nord alza il tiro più che può prima che l’esportazione della democrazia abbassi il suo capo. Telecamere ovunque. Il Grande Fratello di Orwell è in mano alla gente comune: ogni fotocamera è pronta a immortalare atti nefasti e fatali. La gente si controlla a vicenda e dati macabri viaggiano via etere. L’empatia implode, un’onomaturgia selvaggia adultera il linguaggio e crea incomprensioni vaste come le zolle tettoniche. Se fossi in grado di scrivere un romanzo mi piacerebbe concluderlo con questa frase: “Non si può avere tutto, infatti basta possedere ciò che si può distruggere”.
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