Se fossi un attore i critici mi accuserebbero di non bucare lo schermo e io converrei con il loro giudizio. Non so recitare, ma vivo in una commedia dove individui di diverso calibro culturale s’impegnano a interpretare il ruolo che si sono assegnati. Non intendo colpevolizzare qualcun altro per i miei sbagli e per le mie mancanze. Sono in dirittura d’arrivo per i miei ventitré anni e finora non sono mai riuscito a dare o ricevere amore, persino mia madre ha preferito allontanarmi un po’ per ricongiungersi con quel figlio di troia del mio presunto padre. Sono stato declassato e messo da parte più volte, ma ormai ho tagliato i viveri all’autocommiserazione e mi adopero da tempo immemore per il mio riscatto. Ammiro molto me stesso e lo affermo senza modestia. Non so ancora quale sapore abbia il primo bacio e non sono mai stato in grado di attrarre qualcuno, ma ho riserve infinite di energia e porto in spalla una voglia di amare che si scontra quotidianamente con la realtà. Ho aumentato il mio passo, adesso ho una marcia più alta e con questo ritmo serrato cerco di doppiare i limiti che mi rallentano. Lascio ad altri il compito di piangersi addosso e il piacere di correre a braccia aperte contro un Intercity in movimento. Certe volte la mia costanza ha dei cali e puntualmente cado in baratri emotivi che per uno o due giorni mi impediscono di fare qualsiasi cosa, ma ho imparato a percepire questi momenti come delle indispensabili occasioni di riposo. Il livello di difficoltà della mia esistenza è condizionato anche dall’assenza di sostanze psicotrope, da lunghi e intensi momenti di isolamento, da una discreta collezione di fallimenti e da una totale mancanza di affetto psicofisico, ma ognuna di queste menomazioni interiori mi conferisce il propellente adatto per procedere verso traguardi aulici. Ho dei bisogni celestiali che mi bruciano nell’addome e mi sento vivo in mezzo a visioni funeree.
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